"Non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente, ma quella più reattiva…
Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi
Da sempre il dissesto delle grandi imprese ha avuto delle considerevoli ripercussioni non solo economiche, ma anche sociali, con particolare riferimento alle conseguenze scaturenti dalla perdita di posti di lavoro.
Fondamentale è pertanto l’intervento del Governo nella gestione della crisi finalizzato alla salvaguardia degli interessi di tutte le parti coinvolte nel processo, anche e soprattutto in considerazione del fatto che tanto più grande è la dimensione di un’impresa, tanto più forte è l’impatto sociale della sua crisi sul tessuto pubblico.
L’amministrazione straordinaria è una procedura concorsuale a carattere sia amministrativo, considerato l’intervento del Ministro dell’Industria, sia giudiziale, derivante da una sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza, che ha come scopo principale la conservazione, in tutto o in parte, di un’azienda e del personale in essa occupato; esigenze nuove rispetto a quelle garantite dalle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare del 1942 dove tra l’altro non vi erano riferimenti alle grandi imprese.
Tale procedura è stata nel corso degli anni oggetto di svariate modifiche.
In primis con la c.d. Legge Prodi (L. n. 95/1979 di conversione del D.L. n. 26/1979), dal nome del suo promotore, l’allora Ministro dell’Industria Romano Prodi, il legislatore italiano introdusse il nuovo istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, proprio al fine di scongiurare il rischio del verificarsi di una serie di fallimenti che avrebbero impattato negativamente sulla fragile economia del nostro Paese.
Tale procedura concorsuale era inerente alle insolvenze delle grandi imprese commerciali, dove la “insolvenza” rappresentava un concetto statico indicativo dell’incapacità dell’imprenditore di adempiere alle proprie obbligazioni.
Svariate le critiche e le censure mosse all’istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi dalla Commissione Europea, la quale in particolare criticava il requisito d’accesso a tale procedura concorsuale, evidenziando come potesse essere applicata automaticamente alle imprese insolventi sulla base del solo accertamento dei requisiti dimensionali prescindendo dall’effettiva opportunità di sopravvivenza del complesso aziendale, non prevedendo la stessa nemmeno l’eventualità della conversione in fallimento quando la possibilità di conservazione o risanamento dell’azienda diveniva impossibile.
In particolare tale procedura prevedeva il risanamento finanziario dell’impresa attuato o attraverso il sistema delle partecipazioni statali o mediante il ricorso alla CIG (Cassa Integrazione Guadagni); il commissario straordinario elaborava un programma contenente un piano di risanamento dell’impresa in base agli indirizzi di politica industriale.
Tali caratteristiche squisitamente amministrative sulla quale si fondava la procedura sono state oggetto di censura poiché sfuggivano al controllo del giudice; da qui il suggerimento dell’introduzione di una fase intermedia finalizzata alla valutazione delle reali possibilità di continuazione dell’impresa.
La Corte di Giustizia della Comunità Europea ritenendo l’istituto delineato dalla c.d. L. Prodi lesivo della concorrenza ed incompatibile con la disciplina comunitaria degli aiuti di stato diede impulso alla riforma attuata negli anni novanta dal D. Lgs. n. 270/99 (c.d. Legge Prodi-bis) che pur affiancandosi alle tradizionali procedure concorsuali quali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo, prevede la continuità dell’attività imprenditoriale e la conservazione dei livelli occupazionali delle imprese il cui fallimento potrebbe avere importanti conseguenze sociali ed economiche.
Il nuovo istituto pur riferendosi alle imprese di grandi dimensioni si differenzia dal precedente poiché propende alla ricollocazione sul mercato dell’intera impresa o di alcuni suoi rami attraverso la cessione a terzi dei complessi aziendali.
La Legge Prodi-bis è flessibile e ben strutturata basandosi sul sistema del c.d. doppio binario, il quale prevede che solo in seguito alla dichiarazione dello stato d’insolvenza si apra una fase diagnostica che può concludersi con l’apertura dell’amministrazione straordinaria o con la dichiarazione di fallimento.
L’accesso alla procedura, riservato alle sole imprese con reali possibilità di risanamento, avviene esclusivamente in seguito ad esito positivo della fase diagnostica ed in presenza di un piano di risanamento già formulato dal commissario giudiziale; pertanto, il requisito dimensionale diviene conditio sine qua non per l’accesso.
La procedura di amministrazione straordinaria risulta inoltre conforme ai criteri dettati dalla Comunità Europea prevedendo maggiori garanzie per i creditori e la possibilità per il Tribunale di convertire la procedura stessa in fallimento qualora non vi siano i presupposti per la sua continuazione.
Dall’entrata in vigore della Legge Prodi-bis, l’amministrazione straordinaria ha riguardato 136 gruppi di imprese in crisi e il programma di risanamento elaborato dai commissari giudiziali ha trovato attuazione in circa l’80% dei casi garantendo non solo la continuità produttiva delle aziende, ma anche la tutela di un considerevole numero di posti di lavoro avvalorando, pertanto, la finalità conservativa dell’istituto.
Infine, il D.L. n. 347 del 2003 – “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato d’insolvenza” – c.d. Decreto Parmalat o Decreto Marzano, poi convertito in L. n. 39/2004, ha introdotto una disciplina speciale che trova applicazione nei confronti delle imprese soggette alle disposizioni sul fallimento che presentino un numero di dipendenti non inferiori a 500 e un indebitamento non inferiore a 300 milioni di euro.
Tale disciplina diretta al risanamento delle grandi imprese in crisi, prevede diversi requisiti di ammissione e procedure più celeri attraverso la predisposizione di un piano di ristrutturazione e l’affidamento della gestione prevalentemente all’autorità amministrativa.
Si può dunque giungere alla conclusione che anche nel futuro la gestione della crisi delle grandi imprese sarà sempre più affidata al potere amministrativo con un restringimento della giurisdizionalizzazione della procedura, che porterà il nostro Paese a differenziarsi ulteriormente all’interno dello scenario europeo.
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