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Assicurazione professionale e clausole claims made

Professore a contratto Università Mercatorum e Università degli Studi di Salerno, Avvocato specialista in diritto penale e Avvocato lavorista.

L’ampliamento della categoria dei danni risarcibili ha contribuito ad estendere le ipotesi di responsabilità per negligenza del professionista, in particolare del commercialista ed esperto contabile, nei confronti del cliente. Il rapporto giuridico instauratosi tra cliente e commercialista viene qualificato come un contratto d’opera intellettuale, disciplinato dagli articoli 2229 e seguenti del codice civile. La responsabilità professionale, nello specifico, è da ravvisarsi nell’inadempimento al mandato professionale conferitogli in qualità di libero professionista, iscritto all’albo e non vincolato da rapporto d’impiego.

La responsabilità del professionista deve essere valutata secondo il parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c. (diligenza nell’adempimento) ed eventualmente alla luce dell’art. 2236 (responsabilità del prestatore d’opera) quando trattasi di prestazione che implica la soluzioni di problemi di speciale difficoltà (Cassazione n. 2230 del 1973). Constatato che la responsabilità del commercialista è, allo stesso tempo, responsabilità da esecuzione di mandato e responsabilità professionale, va  specificato che per la Suprema Corte l’obbligazione sia da includere prevalentemente fra quelle di mezzi e non di risultato, poiché il professionista si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, e non per conseguirlo.

Rientra, comunque, nel dovere del professionista svolgere ogni attività necessaria alla fattispecie concreta per lo svolgimento corretto dell’incarico affidatogli dal cliente. Qualora la prestazione sia resa dal professionista senza i requisiti minimi di puntualità, diligenza ed esattezza, questi potrà ritenersi inadempiente. Oltre alla responsabilità professionale nei confronti del proprio cliente, il commercialista è responsabile per i danni provocati a terzi con la propria condotta nello svolgimento dell’attività professionale, al di fuori del rapporto contrattuale. In tale circostanza la responsabilità del professionista sarà extracontrattuale, sorgente da fatto illecito, così come previsto ex art. 2043 del codice civile.

Le più frequenti ipotesi di responsabilità del commercialista riguardano la negligente gestione di patrimoni personali o aziendali, errori nelle dichiarazioni fiscali, mancato rispetto delle scadenze, consulenze inadeguate, e smarrimento di documentazione. Il danno risarcibile è generalmente rappresentato dai maggiori oneri che il contribuente deve sostenere nei confronti dell’erario, a causa dell’errore commesso. Ha stabilito il Trib. di Milano, con sentenza n. 9051 del 2019 che qualora venga accertata la responsabilità del commercialista, a causa della sua negligenza nei confronti del cliente, è necessario procedere al risarcimento del danno. Difatti, se viene provato un danno causato da inadempimento, il commercialista è tenuto a risarcire i maggiori oneri che il contribuente deve sostenere per effetto del suo errore.

In tale complesso quadro di responsabilità del professionista, si è resa necessaria una soluzione che potesse tutelare sia i clienti che gli stessi commercialisti. Con DPR n. 137 del 2012 (Regolamento recante riforma degli Ordini Professionali) è stato, così, sancito all’art. 5 l’obbligo assicurativo per tutti i membri delle professioni regolamentate o ordinistiche, ossia per tutti i professionisti iscritti agli albi professionali. La norma prevede l’obbligatorietà per tali professionisti della stipula di una polizza assicurativa che copra i danni derivanti dall’esercizio dell’attività. Destinatari dell’obbligo sono coloro che esercitano, anche occasionalmente, la professione in modo effettivo, ed in forma autonoma, ossia non esercitino come lavoratori dipendenti pubblici o privati.

Per ciò che riguarda le polizze assicurative professionali per responsabilità civile, si evidenzia che negli ultimi anni ha avuto sempre maggiore diffusione una particolare categoria di clausole, definite “claims made”, ossia “a richiesta fatta”. Con l’evoluzione delle polizze assicurative RC dei professionisti si è, difatti, assistito al repentino passaggio dal sistema del “loss occurrence” a quello del “claims made”, ed alla conseguente variazione delle condizioni di garanzia. Nello specifico, le assicurazioni dei commercialisti ed esperti contabili sono, oggi, ormai stipulate quasi esclusivamente in regime c.d. claims made. Tali clausole riguardano in genere i contratti aleatori, ed in particolare i contratti di assicurazione disciplinati agli articoli 1904 e seguenti del codice civile.

La loro peculiarità consiste nel fatto che la copertura assicurativa viene considerata in riferimento al momento in cui viene presentata la richiesta di risarcimento, indipendentemente dal momento della causazione dell’evento che ha provocato il danno. La clausola claims made rende operativa la garanzia delle richieste di risarcimento avanzate nei confronti del professionista, denunciate all’assicuratore entro il periodo di validità della polizza, anche se i fatti sono avvenuti anteriormente al periodo di copertura. In regime di clausola loss occurrence, invece, l’operatività della garanzia è limitata alle condotte causa di un danno, avvenute durante il periodo di vigenza della polizza, a prescindere dalla data di denuncia del sinistro e fermi i limiti della legge in tema di prescrizione del diritto.

La copertura si estende, pertanto, ai sinistri avvenuti durante la vigenza del contratto, benché la richiesta risarcitoria sia formulata in un tempo successivo, quando la polizza non è più vigente. Perciò se un evento dannoso avviene durante la copertura, saranno risarciti i danni anche se la richiesta di risarcimento viene fatta dopo la scadenza della polizza. Il modello “loss occurrence”, ovvero “ad insorgenza del danno” presenta, tuttavia, un’effettiva difficoltà di valutazione dell’efficacia della polizza per l’assicuratore e, di conseguenza, la convenienza dell’assunzione del rischio da assicurare diviene incerta.

La clausola claims made ha, perciò, la sua ratio nella necessità delle compagnie di assicurazione di valutare nel breve termine il risultato economico di un prodotto assicurativo, per poterne prevedere il rischio e valutarne il premio. Essa agisce retroattivamente, anche per fatti avvenuti prima dell’inizio del periodo di copertura assicurativa, a condizione che la relativa denuncia avvenga durante il periodo di validità della polizza e l’assicurato non sia a conoscenza del danno cagionato. In alcuni casi è rafforzata dalla c.d. garanzia postuma, ossia la possibilità di estendere la garanzia per un periodo di tempo successivo alla scadenza della polizza. Le clausole claims made possono essere pure, impure o miste. Mentre le prime non prevedono restrizioni, le impure e quelle miste prevedono specifiche condizioni per l’operatività della copertura assicurativa, con retrodatazione della garanzia limitata a un determinato periodo di tempo, che di solito corrisponde a due o tre anni dalla stipula del contratto.

La natura giuridica della formula claims made è stata oggetto di critiche ed associata alla vessatorietà della clausola, giacché essa limiterebbe la responsabilità a carico dell’assicuratore predisponente, necessitando così di specifica sottoscrizione da parte dell’assicurato. Ai sensi dell’art. 1341 co. 2 c.c., difatti, non producono effetto se non sono specificamente approvate per iscritto, le clausole che stabiliscono a favore del predisponente una limitazione della responsabilità. La Suprema Corte si è dovuta, di conseguenza, pronunciare in più riprese sulla validità delle clausole claims made.

La sentenza delle Sezioni Unite n. 9140 del 2016 ha ribadito la piena validità e la natura non vessatoria della clausola, purché l’assicuratore non proponga formulazioni tese ad escludere o limitare indebitamente la propria responsabilità. Nello specifico, la Corte ha stabilito che le clausole claims made pure, siano meritevoli di tutela in quanto comportano per l’assicurato sia aspetti vantaggiosi che svantaggiosi, ed ha confermato la non vessatorietà delle stesse. Secondo giurisprudenza consolidata rientra, difatti, nella piena disponibilità dei contraenti modulare l’obbligo di garanzia con le modalità che essi ritengano più opportune ai sensi dell’art. 1322 del codice civile.

La difficoltà consiste nell’individuare il limite oltre il quale i contraenti non possono spingersi senza snaturare l’essenza del contratto di assicurazione. Tale valutazione va rimessa al sindacato del giudice, il quale deve valutare la meritevolezza della pattuizione. L’indagine sulla meritevolezza deve svolgersi, in concreto, con riferimento alla fattispecie contrattuale, di volta in volta sottoposta allo scrutinio del giudicante, così come stabilito dalle Sezioni Unite del 2016.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla natura vessatoria o meno della clausola claims made contenuta nel contratto sulla responsabilità del professionista, con ordinanza n. 27867 del 2017 ribadisce l’orientamento delle Sezioni Unite affermando che essa, anche se impura o mista, non sia vessatoria. Tuttavia, prosegue la Corte, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza, ovvero qualora determini “a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Tale clausola va, difatti, inquadrata “non già nella categoria delle pattuizioni dirette a limitare oppure ad escludere la responsabilità del debitore, ma fra quelle volte a meglio descrivere l’oggetto del contratto e, nello specifico del rischio assicurato”.

Di talché, non si considera a carattere vessatorio, e non richiede perciò un’apposita approvazione per iscritto, la clausola che si limiti a determinare l’effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione, limitandosi a descrivere il rischio assicurato e non escludendo la responsabilità dell’assicuratore. Per contro, nella circostanza in cui la presenza della pattuizione comporti uno vantaggio sproporzionato per l’assicuratore ed uno svantaggio ingiusto per l’assicurato, essa non è meritevole di tutela. La pattuizione verrebbe considerata immeritevole di tutela ex art. 1322 co. 2 c.c. se la clausola prevedesse solo svantaggi per l’assicurato, ossia nell’ipotesi di una copertura limitata ai soli fatti e richieste di risarcimento avvenuti nel periodo di durata dell’assicurazione. Ove vengano ravvisati sia vantaggi che svantaggi, in un equilibrato bilanciamento degli interessi delle parti contrattuali, la claims made non è vessatoria.  Essa, difatti, da un lato tutela l’assicuratore escludendo la copertura per le richieste risarcitorie postume, ma dall’altro avvantaggia l’assicurato perché copre eventi di danno posti in essere anteriormente alla conclusione del contratto.

Nonostante giurisprudenza di contrario orientamento (Cassazione n. 8894 del 2020) vorrebbe la clausola claims made invalida, atteso che la difficoltà di esercitare il diritto andrebbe intesa nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta “possibilità del tutto esclusa se l’assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire”, la più recente giurisprudenza (Cassazione n. 6490 del 2024) ha ribadito la legittimità delle clausole claims made seguendo quasi unanimemente il percorso logico delle Sezioni Unite del 2016.

Alberto Biancardo
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