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Bonus cultura. Un cerchio travagliato e difficile. È truffa o illecito amministrativo?
Nella dottrina del diritto penale col termine “concorso apparente di norme coesistenti” si individua l’ipotesi disciplinata dall’art. 15 c.p.
Quest’articolo stabilisce che il “conflitto” tra due o più norme penali, o disposizioni della stessa legge penale che regolano la medesima materia, deve essere risolto in base al principio di specialità secondo il quale la legge speciale deroga alla legge generale.
È questo è il caso del delitto previsto dall’art. 316-ter cod. pen. (inserito dall’art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300) che sanziona l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, di altri Enti pubblici o della Comunità Europea, e l’articolo 640 bis c.p., che sanziona la truffa aggravata per l’indebito conseguimento di erogazioni pubbliche.
Con specifico riferimento ai rapporti tra i menzionati articoli, la Suprema Corte, già nel 2006, con la sentenza n 23623 dell’08 giugno depositata il 06 luglio, si era espressa nel senso che “l’art. 316 ter costituisce norma sussidiaria essendo destinata a colpire condotte che non rientrano nel campo di operatività dell’art. 640 bis.”
In particolare – ha scritto la Corte – la presentazione di dichiarazione o documenti falsi attraverso “artifici o raggiri” configura il reato della truffa e quindi l’applicabilità dell’art.640 o 640 bis codice penale.
La fattispecie prevista dall’art. 316 ter ha una struttura complessa, nel senso che integra un illecito amministrativo e non un delitto, qualora la somma indebitamente percepita non sia superiore ad € 3.999,96 e, con riferimento al cosiddetto “bonus bebè”, introdotto dall’art. 1 legge n. 266 del 2005, sempre la Suprema Corte, con la sentenza n 34563 del 26 giugno 2013, depositata l’08 agosto, ha ritenuto che la sua indebita percezione, in misura inferiore al quantum sopra specificato, per effetto della falsa dichiarazione di possedere la cittadinanza italiana, integri l’illecito amministrativo e non la truffa cioè di uno specifico artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno l’Ente erogante.
Con la sentenza n 40260 del 14 luglio 2017, depositata il 05 settembre, è intervenuta la Corte di Cassazione occupandosi di una fattispecie analoga, che stabiliva “Risponde del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. e non di quello di cui all’art. 316-ter cod. pen. la persona che, delegata dall’avente diritto alla riscossione della pensione, dichiara falsamente l’esistenza in vita del delegante, incidendo in tal modo fraudolentemente sull’attività valutativa e non meramente ricognitiva dell’ente erogatore”.
Anche in tal caso vi era stata soltanto una falsa dichiarazione, ritenuta tuttavia sufficiente ad integrare un raggiro.
Riguardo al bonus cultura 18 app, che offriva la possibilità di ottenere un contributo di euro 500 destinato ai diciottenni (attivo dal 2016), al fine di acquistare oggetti e attività culturali (libri, biglietti per concerti, musei e tutte le attività attinenti la cultura), è accaduto che migliaia di bonus sono stati convertiti in danaro, nel seguente modo: dopo che buono e beneficiario erano registrati sull’apposita piattaforma informatica, venivano sistematicamente simulate vendite di libri o cessione di beni e servizi culturali mediante false dichiarazioni e false dichiarazioni contabili, al solo scopo di conseguire i successivi ed ingenti rimborsi erogati da MIBACT (Ministero della cultura e turismo) per l’intero ammontare del buono.
Nel contesto giurisprudenziale, sopra delineato, si inserisce la recentissima pronuncia della seconda sezione penale della Suprema Corte (n 37661 del 14 settembre 2023) che, in merito bonus cultura 18 app rivisita per l’ennesima volta la materia “de qua” statuendo che:
“L’illecita conversione in denaro del c.d. bonus cultura, simulando l’acquisto di beni e servizi tra quelli previsti dal legislatore, integra l’ipotesi di truffa aggravata di cui all’art. 640-bis c.p. a nulla rilevando né che le verifiche siano previste solo in forma eventuale e successiva, né la possibile mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire adeguati controlli in ordine alla veridicità dei dati forniti dal richiedente il contributo pubblico, in quanto tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino, risolvendosi in una mancanza di attenzione determinata dalla fiducia ottenuta proprio con gli artifici ed i raggiri”.
L’anzidetta pronuncia chiude il cerchio di un travagliato e difficile percorso interpretativo ritornando all’originario orientamento del 2006 e dimostrando in definitiva che l’eccessiva proliferazione normativa ingenera soltanto confusione, nel destinatario e nell’interprete delle norme, minando finanche il principio della chiarezza.
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