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“Bonus Mamma Domani”: la Cassazione boccia le restrizioni Inps fondate sulla nazionalità

Avvocato esperta in diritto penale, civile, del lavoro, dell'impresa e dell'immigrazione

Le circolari che limitavano l’accesso al beneficio alle sole madri con permesso di soggiorno UE di lungo periodo violano la legge e introducono una discriminazione ingiustificata

ROMA – L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) non può restringere l’accesso al “Bonus mamma domani” sulla base della nazionalità o del tipo di permesso di soggiorno. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la Sentenza n. 12971 del 14 maggio 2025, che ha dichiarato illegittime le circolari adottate dall’Istituto nel 2017, perché in contrasto con i principi di uguaglianza e gerarchia delle fonti giuridiche.

La vicenda nasce dalla decisione dell’INPS di subordinare l’erogazione dell’incentivo economico — un premio una tantum di 800 euro previsto dalla Legge di Bilancio 2017 (art. 1, comma 353, L. n. 232/2016) — al possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Una limitazione non prevista dalla normativa primaria e ritenuta discriminatoria da diverse associazioni, che hanno promosso un’azione collettiva contro l’Istituto.

La vicenda

Il “Bonus mamma domani” detto anche “premio nascita” non più attivo in quanto inglobato dall’Assegno Unico, era un contributo economico destinato alle madri, a prescindere dalla cittadinanza, purché regolarmente residenti in Italia, per affrontare le spese legate alla nascita o all’adozione di un figlio. Tuttavia, attraverso le circolari n. 39, 61 e 78 del 2017, l’INPS aveva ristretto l’accesso al beneficio, limitandolo alle sole donne in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo così una parte significativa delle madri straniere legalmente presenti nel Paese.

La restrizione aveva suscitato forti critiche da parte di realtà associative e giuridiche, portando il caso prima davanti al Tribunale di Milano e poi alla Corte d’Appello, che avevano entrambe riconosciuto il carattere discriminatorio delle disposizioni INPS. Secondo i giudici, l’Istituto aveva introdotto in via amministrativa una condizione di accesso al beneficio non contemplata dalla legge, creando una disparità di trattamento in base alla nazionalità.

Il ricorso dell’INPS e la decisione della Cassazione

Nel tentativo di ribaltare le decisioni di merito, l’INPS ha proposto ricorso per cassazione. L’Istituto ha sostenuto, tra le altre cose, che le associazioni promotrici dell’azione collettiva non fossero legittimate ad agire, poiché il beneficio non rientrerebbe nell’ambito del lavoro e che, comunque, le proprie circolari – la n. 39 e la n. 61del 2017, attuative della normativa primaria – miravano a favorire la natalità tra chi ha un forte radicamento sul territorio italiano, escludendo benefici per situazioni temporanee e prescindendo da qualsivoglia requisito reddituale.

La Suprema Corte ha però respinto integralmente il ricorso.

In primis, ha confermato la piena legittimazione delle associazioni ad agire in giudizio per tutelare soggetti potenzialmente discriminati. Secondariamente, ha ribadito un principio fondamentale: le circolari amministrative considerate atti amministrativi interni deputati ad indirizzare l’attività degli organi periferici dell’ente, non possono introdurre modifiche o restrizioni a diritti previsti dalla legge; infatti, il solo requisito soggettivo previsto dalla normativa era legato allo status di gestante, genitrice o adottante.

Secondo la Cassazione, il comportamento dell’INPS ha prodotto un effetto discriminatorio oggettivo, legato esclusivamente alla nazionalità e non giustificato da alcuna ragione oggettiva o legittima. Anche in assenza di una volontà dolosa, il solo fatto di aver introdotto un requisito illegittimo è sufficiente a configurare la condotta discriminatoria.

Richiamando precedenti giurisprudenziali, la Corte ha ricordato che le circolari dell’INPS sono strumenti interpretativi interni, utili per guidare l’azione amministrativa, ma privi di forza normativa. Non possono dunque sovvertire o ridurre l’ambito di applicazione delle leggi. In particolare, nel caso del “Bonus mamma domani”, il legislatore non ha previsto alcuna distinzione in base al tipo di permesso di soggiorno, né alcun vincolo relativo alla cittadinanza, se non la regolare residenza.

L’introduzione, da parte dell’INPS, di un requisito analogo a quello previsto per l’assegno di natalità — che invece contempla criteri più rigidi — è stata giudicata impropria e in contrasto con il dettato legislativo. Inoltre, la stessa disciplina dell’assegno di natalità è già stata oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale (sentenza n. 54/2022), proprio per il requisito discriminatorio del permesso di soggiorno UE.

Orbene, questa pronuncia della Cassazione rappresenta un punto fermo nella tutela dei diritti sociali delle madri straniere e nell’interpretazione dei limiti dell’azione amministrativa degli enti pubblici. La Corte ha ricordato che l’uguaglianza dei cittadini e dei residenti di fronte alla legge non può essere sacrificata a discrezionalità interpretative, anche quando motivate da finalità generali come la natalità o l’integrazione.

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