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COMPOSIZIONE DELLA CRISI DI IMPRESA: il ruolo centrale dell’attestatore

Dottore Commercialista, Revisore Legale e Mediatore Professionista.
Giornalista pubblicista.
Oltre all’attività “ordinaria” contabile e fiscale e di controllo di gestione, è specializzato in Consulenza su Operazioni di riorganizzazione e risanamento societario e di Tutela e protezione dei patrimoni personali. Inoltre è specializzato nella Difesa del contribuente durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
E-mail: luca.santi@studiosanti.it

Attestatore Crisi D'impresa

Premessa

Con il presente intervento proseguiamo l’analisi della gestione delle proposte di transizione fiscale. Nei precedenti abbiamo introdotto l’argomento (riportando le norme modificate della Legge fallimentare) per poi analizzare alcuni fra gli strumenti che il debitore può utilizzare al fine della composizione della crisi che sono stati modificati dall’articolo 3, comma 1-bis, del decreto legge 7 ottobre 2020, n. 1255, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2020, n. 159.

Con il presente intervento andremo ad analizzare la relazione dell’attestatore che assume, post modifiche, un ruolo centrale per il Tribunale al fine di consentirgli di valutare l’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti pur in mancanza di voto o adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il ruolo “rafforzato” dell’attestatore

In considerazione dell’importante funzione dell’attestatore, l’Agenzia delle Entrate, nella più volte richiamata CM. 34/E/2020 individua “nuovi” elementi che la relazione del professionista deve contenere, oltre all’attestazione della veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.

La circolare infatti sottolinea che “il lavoro dell’attestatore, quindi, è determinante in quanto deputato a rafforzare la credibilità degli impegni assunti dal debitore mediante il piano, che devono essere finalizzati al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e, sostanzialmente, al risanamento dell’impresa. Inoltre, la relazione di attestazione, in esito alle modifiche recate dal decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125, è espressamente indicata (artt. 180 e 182-bis della LF) come uno degli elementi di cui può avvalersi il Tribunale per omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, anche in mancanza, rispettivamente, del voto o dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria”.

Requisiti dell’attestatore

L’articolo 67, terzo comma, lettera d), L.F. ([1]) prevede le peculiarità dell’attestratore che deve essere un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista e’ indipendente quando non e’ legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali e’ unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

Il contenuto dell’attestazione

Viste le modifiche normative riveste, oggi ancor più che in passato, un’importanza   fondamentale la relazione dell’attestatore al piano, relazione che necessita di specifiche analisi condotte dell’attestatore sulle principali ipotesi che il management pone a fondamento della strategia di risanamento, che devono essere chiaramente evidenziate nel piano medesimo. In particolare, qualora sia prevista la liquidazione del patrimonio aziendale, dalla relazione dell’attestatore deve potersi evincere l’attendibilità del metodo utilizzato per stimare il valore di realizzo dei cespiti. Inoltre, se il piano fa riferimento a corrispettivi di cessione concordati con terzi acquirenti, dalla stessa relazione deve risultare che l’imprenditore ha compiutamente documentato lo svolgimento delle trattative.

Per quanto concerne, invece, i piani che prevedono la continuazione dell’attività di impresa, occorre verificare che l’action plan predisposto dal management aziendale specifichi le condizioni necessarie per la sua attuazione. A tal fine, la relazione di attestazione deve confermare che i meccanismi causali posti a fondamento dell’action plan siano idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati, suffragandone la coerenza interna ed esterna.

Particolare attenzione deve essere posta a quelle situazioni nelle quali i risultati prospettati siano migliori di quelli storicamente conseguiti dall’impresa, ovvero superiori rispetto a quelli che sono previsti per il mercato di riferimento. In tali casi, l’attestatore deve corroborare la realisticità delle ipotesi formulate, verificando, da una parte, che le ragioni dell’over performance siano state accuratamente illustrate nel piano, dall’altra, che l’impresa possa ragionevolmente conseguirle, alla luce delle sue specifiche caratteristiche, di futuri mutamenti del contesto competitivo in cui opera, ovvero di altri eventi altamente probabili.

Le valutazioni da svolgere nel concordato preventivo

Dalla relazione del professionista dovrà emergere l’assunto che la proposta concordataria sia maggiormente satisfattiva dei crediti tributari e previdenziali, all’esito della comparazione tra il pagamento proposto con la domanda di concordato e quanto ricavabile nell’alternativa liquidatoria, sulla base anche di quanto riportato nella circolare del 23 luglio 2018, n. 16/E.

Inoltre, ai fini di tale confronto, l’attestazione dovrà contenere degli elementi che tengano conto anche del maggiore apporto patrimoniale, rappresentato:

  • dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale;

oppure

  • dall’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria.

Tale apporto non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato come finanza endogena, in quanto, ai sensi dell’articolo 2740, c.c., il proponente è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri.

La proposta così formulata è oggetto di valutazione da parte del Commissario Giudiziale, organo del Tribunale Fallimentare e pubblico ufficiale, attraverso la relazione redatta ex art. 172, LF. Con tale relazione, il Commissario procede alla valutazione della fattibilità giuridica ed economica della proposta e del piano, nonché della loro convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria.

Pertanto, laddove il Commissario Giudiziale renda un parere favorevole alla proposta di concordato e, conseguentemente, alla connessa proposta di trattamento del credito, l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà necessariamente essere corredato da una puntuale motivazione, idonea a confutare analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni del Commissario medesimo.

Le valutazioni da svolgere per gli accordi di ristrutturazione

La nuova formulazione dell’articolo 182- ter, al comma 5, L.F. prevede che l’attestazione di cui al precedente articolo 182-bis, primo comma, «relativamente ai crediti tributari o contributivi, e relativi accessori, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale».

Di conseguenza, in ordine ai crediti fiscali, l’attestazione del professionista dovrà riguardare non soltanto la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo, con specifico riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, ma anche la convenienza del trattamento proposto rispetto all’alternativa liquidatoria.

Nel caso degli accordi di ristrutturazione il professionista effettua, quindi, una valutazione comparativa oramai del tutto assimilabile a quella richiestagli in caso di concordato preventivo.

Il giudizio di manifesta inattendibilità

Secondo quanto riportato dalla Circolare 34/E/2020 “gli uffici oltre ad operare un confronto con gli altri creditori per verificare il rispetto del divieto di trattamento deteriore dell’erario, ai fini della valutazione della proposta di transazione fiscale che viene formulata e dell’espressione del voto, o dell’assenso, che ne consegue, sono chiamati ad esaminare il requisito della maggior convenienza economica di tale proposta rispetto all’alternativa liquidatoria”.

Gli uffici quindi dovranno confrontare l’importo che l’erario può percepire sulla base della proposta oggetto di esame con quello realizzabile, alternativamente, mediante la liquidazione giudiziale dell’impresa, tenendo conto dei valori degli asset aziendali e dell’ammontare conseguibile, in forza delle legittime cause di prelazione, in sede di assegnazione ai creditori delle somme realizzate mediante la liquidazione stessa.

Nel formare il proprio convincimento gli Uffici dovranno fare riferimento, quindi, agli elementi esposti nel piano attestato dal professionista indipendente e, nel caso di concordato preventivo, anche a quanto attestato e verificato dal Commissario Giudiziale, potendo disattenderne le rispettive risultanze solo allorquando le ritengano manifestamente non attendibili, ovvero non sostenibili, anche alla luce del contesto economico e competitivo di riferimento, nonché della situazione economico-patrimoniale dell’impresa.

Nel caso in cui, infatti, gli uffici ritengano che la proposta sia inattendibile o insostenibile, dovranno corredare il loro giudizio con una puntuale motivazione, idonea a individuare in maniera analitica le ipotesi, le prospettazioni e i dati – compendiati nel piano e nella relazione – ritenuti non attendibili. In tale evenienza, si devono portare a conoscenza del contribuente gli esiti delle valutazioni, al fine di consentire – in tempo utile – una interlocuzione nella quale esaminare, attraverso l’utilizzo di parametri di comune dominio, gli elementi di criticità rilevati (CM. 34/E/2020). Uno degli esempi richiamati dalla circolare è il seguente: “una manifesta inattendibilità relativa alla determinazione del valore di realizzo dei beni immobili va motivata dagli Uffici ricorrendo a parametri pubblicamente disponibili, senza limitarsi all’utilizzo dei valori determinati dall’Osservatorio del mercato immobiliare, ma integrando questi ultimi, per ipotesi, con le informazioni desumibili dai borsini immobiliari, ovvero con i valori di vendita presenti nei siti on-line delle agenzie immobiliari. Inoltre, nei casi maggiormente complessi, gli Uffici si avvarranno del proprio personale esperto in materia di estimo, mettendo a disposizione del contribuente i risultati raggiunti e le metodologie utilizzate. Tale esigenza potrebbe manifestarsi, in special modo, con riferimento agli immobili di particolare pregio architettonico, storico o artistico, ovvero classificati in categorie catastali rispetto alle quali potrebbero non sussistere adeguati benchmark.

Oltre alla valutazione della documentazione gli Uffici valuteranno anche il comportamento del contribuente prima dell’attivazione della procedura, vale a dire se lo stesso abbia:

  • simulato la cessione di asset aziendali a soggetti correlati;
  • compiuto atti liberali – come la remissione del debito – non giustificati da normali logiche di mercato, quale potrebbe essere la salvaguardia di specifici rapporti commerciali;
  • perfezionato operazioni di riorganizzazione aziendale, finalizzate a trasferire artatamente nel proprio patrimonio personale poste dell’attivo, costruendo così una bad company da sottoporre alla procedura compositiva;
  • utilizzato fatture per operazioni inesistenti allo scopo di creare costi a carico dell’impresa.

La più volte richiamata circolare sottolinea che, sebbene i cd “precedenti fiscali del contribuente” non sono generalmente esaminati in sede di valutazione della proposta, gli Uffici potranno valutare eventuali condotte riconducibili ad una sistematica e deliberata violazione di obblighi fiscali, semprefinalizzate a garantire una tempestiva gestione delle procedure di composizione della crisi di impresa.

Confronto con il “contribuente”

Nel caso in cui gli Uffici, in sede di esame della documentazione esibita a supporto delle proposte, dovessero rilevare particolari carenze o criticità, avvieranno un tempestivo confronto con il contribuente volto a definire i termini della questione e a pervenire ad una soluzione condivisa, assicurando il rispetto dei principi di economicità, trasparenza e non aggravio del procedimento.

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[1] Come modificato dal Decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

Luca Santi
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