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Fallimento della S.R.L. e responsabilità dell’amministratore: la Cassazione ribadisce i limiti del suo operato

La responsabilità degli amministratori nelle società a responsabilità limitata (S.r.l.) è nuovamente al centro del dibattito giurisprudenziale, a seguito dell’ordinanza n. 23963/2025 della Corte di Cassazione. L’intervento chiarisce ancora una volta come l’amministratore non possa agire in spregio agli interessi sociali, nemmeno in assenza di uno stato di insolvenza accertato.
“In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, l’amministratore è tenuto ad agire con la diligenza dovuta in ragione della natura dell’attività svolta e senza incorrere in conflitto di interessi con la società amministrata, ai sensi degli articoli 2476, comma primo, e 1176, comma secondo, del codice civile. Integra l’illecito contrattuale di cui all’articolo 2476 del codice civile il fatto che l’amministratore, nell’esecuzione dei pagamenti dovuti a società terze, abbia fatto prevalere un interesse extrasociale incompatibile con quello della società e per la stessa pregiudizievole, …” (Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza n. 23963 del 27 agosto 2025)
Il caso ha origine dal fallimento di una S.r.l., in cui la curatela ha promosso un’azione risarcitoria nei confronti dell’ex amministratore, accusato di aver compiuto operazioni in conflitto d’interessi e in danno del patrimonio sociale, tra cui pagamenti preferenziali e trasferimenti di risorse a società estere a lui riconducibili.
Le contestazioni dell’amministratore e il rigetto della Cassazione
Condannato in primo e secondo grado, l’amministratore ha proposto ricorso in Cassazione, articolandolo in tre principali motivi:
- Qualificazione giuridica dell’azione. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che la curatela fallimentare avesse agito esclusivamente ai sensi dell’art. 2394 c.c. (azione extracontrattuale a tutela dei creditori), mentre la Corte d’Appello ha ritenuto esercitata anche l’azione di responsabilità contrattuale prevista dall’art. 2476 c.c., volta a tutelare l’interesse della società. Tale estensione, secondo l’amministratore, avrebbe costituito una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), per ultrapetizione.
- Assenza di prova dello stato d’insolvenza. A suo dire, non poteva qualificarsi come “preferenziale” un pagamento effettuato prima dell’accertamento dello stato d’insolvenza. La responsabilità, quindi, non sarebbe stata dimostrabile in assenza di tale presupposto.
- Onere della prova sulla congruità del prezzo di vendita dei beni. L’amministratore ha contestato che la Corte d’Appello abbia invertito l’onere della prova in relazione alla vendita sottocosto di due macchinari, attribuendogli l’obbligo di dimostrare la congruità del prezzo, senza che il curatore avesse fornito prove sufficienti dell’inadempimento.
La decisione della Suprema Corte
La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, motivando puntualmente il rigetto di ciascuna doglianza.
- Sulla qualificazione dell’azione. La Corte ha ricordato che l’interpretazione della domanda giudiziale è attività riservata al giudice di merito e può essere sindacata in Cassazione solo in caso di violazione dei criteri ermeneutici o omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente, però, non ha fornito elementi sufficienti a dimostrare tali violazioni, né ha trascritto adeguatamente l’atto introduttivo del giudizio per consentire il controllo sulla correttezza dell’interpretazione offerta dal giudice d’appello.
- Sulla prova dello stato d’insolvenza. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la responsabilità dell’amministratore può sussistere anche in assenza di uno stato d’insolvenza accertato, quando le sue condotte siano pregiudizievoli per il patrimonio sociale. Nel caso concreto, la Corte ha evidenziato che: i pagamenti verso la società estera erano effettuati anche quando il debito della stessa superava il credito; l’amministratore non ha fornito spiegazioni per tali scelte gestionali né ha esercitato il diritto di compensazione, inoltre, tali atti hanno determinato un depauperamento del patrimonio sociale.
- Sulla prova del valore dei macchinari venduti. La Cassazione ha confermato il principio secondo cui il curatore fallimentare deve allegare l’inadempimento, ad esempio la vendita di beni a un prezzo non congruo; mentre spetta all’amministratore dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta (art. 2476 e 1176 c.c.), producendo documentazione che provi la correttezza dell’operazione.
Inoltre, ha richiamato il principio della business judgement rule, secondo il quale le scelte gestionali degli amministratori non sono sindacabili se assunte in buona fede, fondate su un’analisi informata e compiute nell’interesse della società.
Tuttavia, tale principio non esonera dalla responsabilità se la decisione è irragionevole o influenzata da un conflitto d’interessi.
Orbene, la decisione ricalca quanto già affermato in precedenti pronunce giurisprudenziali, che avevano già statuito che “L’amministratore di una società a responsabilità limitata risponde per violazione dei doveri di diligenza e lealtà anche in assenza di accertato stato d’insolvenza, ove le condotte poste in essere — come pagamenti preferenziali o operazioni in conflitto d’interessi – abbiano arrecato un pregiudizio al patrimonio sociale o aggravato la posizione dei creditori.”
L’ordinanza n. 23963/2025 si inserisce dunque, in un quadro giurisprudenziale ormai consolidato che attribuisce centralità al ruolo dell’amministratore nel preservare l’integrità del patrimonio sociale e il rispetto dell’interesse collettivo dei creditori.
Ne emerge un principio fondamentale: l’amministratore non può agire come fosse il padrone della società, ma deve operare con diligenza, trasparenza e lealtà, anche quando la società non sia ancora formalmente insolvente. Le sue decisioni devono essere sempre giustificate, documentate e svincolate da interessi personali.
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