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Il patteggiamento nei reati tributari

Professore a contratto Università Mercatorum e Università degli Studi di Salerno, Avvocato specialista in diritto penale e Avvocato lavorista.

L’applicazione della pena su richiesta, comunemente detta patteggiamento, è disciplinata agli articoli 444-448 del codice di procedura penale. Il patteggiamento è un rito alternativo, deflattivo del carico giudiziario, di tipo premiale, poiché consente la definizione anticipata della pena fra accusa e difesa, con una diminuzione fino ad un terzo della stessa e la subordinazione dell’accordo all’applicazione della sospensione condizionale. Se il giudice ritiene che la sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta. Egli può, altresì, accogliere la richiesta dell’imputato anche nell’ipotesi in cui manchi l’accordo con la pubblica accusa. Non è sufficiente l’accordo fra le parti, poiché il giudice dell’udienza preliminare, o in caso di reati che non prevedono l’udienza preliminare il giudice dell’udienza predibattimentale, potrebbero ritenere la pena concordata non adeguata al reato commesso. Il patteggiamento è escluso per reati di particolare allarme sociale e ostativi, quali i delitti di criminalità organizzata e terrorismo, nonché nei confronti di delinquenti abituali, professionali, per tendenza o recidivi, qualora la pena superi i due anni. Il termine entro cui deve essere chiesto il patteggiamento è l’udienza preliminare o quella predibattimentale, e comunque, in ogni altro caso, la richiesta deve avvenire non oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento. Pronunciata la sentenza di patteggiamento, essa non è appellabile se non con riguardo alle sanzioni accessorie applicate con potere discrezionale, mentre il ricorso per Cassazione è circoscritto ai soli motivi di legittimità.

È possibile chiedere il patteggiamento per tutti i reati fiscali, tuttavia il nostro ordinamento prevede che ciò possa avvenire solo in presenza di specifiche condizioni particolarmente restrittive. Sussistono, pertanto, delle significative limitazioni al patteggiamento per i reati fiscali e tributari, che ne circoscrivono il campo d’azione in maniera radicale. Tali delitti sono disciplinati dal decreto legislativo n. 74 del 2000, il Testo Unico sui reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Per reati tributari si intendono quegli illeciti penali che si realizzano con la violazione del contribuente di una disposizione di legge tributaria posta a tutela dell’interesse dell’amministrazione finanziaria, a differenza dei reati finanziari che hanno un’accezione più ampia, comprendendo anche le condotte volte a violare le disposizioni di leggi finanziarie, ovvero aventi un impatto diretto o indiretto sul regolare funzionamento dell’economia. I reati tributari sono accomunati dal fine di evadere le imposte e possono essere suddivisi in dichiarativi, che si concretizzano nella presentazione di dichiarazioni fiscali false o inesatte, e documentali, riguardanti la manipolazione di documenti contabili e fiscali.

Fra i reati tributari dichiarativi abbiamo la dichiarazione fraudolenta, quella infedele e l’omessa dichiarazione, mentre nel novero di quelli documentali si può citare l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, l’occultamento o la distrazione di documenti contabili, l’omesso versamento, l’indebita compensazione. Il citato d.lgs. n. 74 del 2000 punisce, agli articoli 2 e 3, la dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, nonché avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti. L’articolo 4 del predetto decreto punisce, invece, chi indica nelle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, mentre l’art. 5 sanziona penalmente coloro che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presentino, essendovi obbligati, una delle dichiarazioni, qualora l’imposta evasa sia superiore ad euro cinquantamila. L’art. 8 punisce chi emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, mentre chiunque occulta o distrugge le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione è punito a norma dell’art. 10. L’omesso versamento dell’IVA per un valore superiore ad euro duecentocinquantamila è sanzionato dall’art. 10 ter, mentre è punito dall’art. 10 quater colui che non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti oppure inesistenti per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

Come si è detto precedentemente il patteggiamento per suddetti reati è possibile solo a determinate condizioni, stabilite all’art. 13 bis comma 2 del d.lgs. n. 74 del 2000. L’applicazione della pena su richiesta può, difatti, avvenire soltanto nell’ipotesi in cui i debiti fiscali oggetto della contestazione siano stati estinti entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La ratio di tale disposizione può essere individuata nella volontà del legislatore di incoraggiare il pagamento di quanto dovuto all’erario, evitando nel contempo di favorire con sanzioni particolarmente leggere coloro che commettono reati fiscali in assenza di restituzione allo Stato delle somme dovute. Tuttavia la subordinazione dell’accesso al patteggiamento, all’estinzione del debito con l’erario, ha creato non pochi contrasti dottrinari e giurisprudenziali.

L’art. 13 bis comma 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 che subordina la concessione del patteggiamento al pagamento del debito con l’erario, fa salve le ipotesi di non punibilità di cui all’art. 13 commi 1 e 2. La causa di non punibilità prevista ex art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 comma 1 si sostanzia nella scelta del legislatore di non sottoporre a procedimento penale chi, avendo commesso uno dei delitti di cui agli articoli 10 bis, ter e quater, abbia provveduto all’integrale pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento. Con le novelle del D.L. n. 124 del 2019 e l’entrata in vigore della legge n. 157 del 2019 anche i delitti di cui agli articoli 2 e 3, oltre che 4 e 5, sono dichiarati non punibili se i debiti tributari sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano avvenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Il riferimento al primo comma dell’art. 13 non desta particolari problematiche interpretative, poiché il pagamento del debito tributario da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, per i delitti ex articoli 10 bis, ter e quater, non può rappresentare contemporaneamente una causa di non punibilità e fungere altresì da presupposto di legittimità del patteggiamento, non potendo quest’ultimo essere applicato a reati non punibili. Se si verifica il pagamento ha luogo, difatti, la non punibilità e non il rito alternativo. Il riferimento del secondo comma ai delitti dichiarativi (articoli 2, 3, 4 e 5), suscita invece perplessità e contrasti, poiché per la sussistenza della causa di non punibilità l’estinzione del debito tributario deve avvenire non entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, ma prima che il soggetto abbia una formale conoscenza relativa ad ispezioni od accertamenti di carattere tributario, amministrativo o penale.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha seguito orientamenti contrastanti. Secondo la Cassazione penale n. 26529 del 2020 l’adempimento del debito tributario sarebbe necessario per l’ammissione al patteggiamento, per quanto riguarda i delitti dichiarativi. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 31024 del 2023 ha confermato, seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che l’accesso al patteggiamento per il reato tributario di omesso versamento previsto ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 sia possibile soltanto nell’ipotesi in cui i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, ovvero se il soggetto attivo ha avuto accesso al ravvedimento operoso di pagamento del debito con l’erario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La preclusione al patteggiamento prevista ex art. 13 bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 per il caso di mancata estinzione del debito tributario può, tuttavia, operare solo con riguardo ai reati dichiarativi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 del predetto decreto, e non anche nei confronti dei delitti di omesso versamento o indebita compensazione di cui agli articoli 10 bis, ter e quater. Ciò in quanto, in tali ultime ipotesi, l’integrale estinzione del debito effettuata prima del predetto termine determina la non punibilità non potendo, pertanto costituire una condizione per accedere al patteggiamento. In tal senso anche la sentenza della Suprema Corte n. 9083 del 2021, e n. 25656 del 2022, che hanno confermato la preclusione all’applicazione della pena su richiesta delle parti in caso di mancata estinzione del debito tributario.

Un differente orientamento, ad oggi maggioritario (fra le altre, Cass. penale n. 10800 del 2019 e n. 11620 del 2021), ha invece statuito che l’estinzione del debito tributario non rappresenta una conditio sine qua non per l’accesso al rito alternativo ex art. 444 c.p.p., per tali delitti. La sentenza della Suprema Corte n. 11620 del 2021 ha statuito che in relazione all’omessa dichiarazione prevista ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto per l’applicazione del patteggiamento. Per i giudici di legittimità, difatti, l’art. 13 configura tale condotta come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 2-5, 10 bis, ter e quater, rendendo il patteggiamento non utilizzabile per delitti non punibili. Secondo il supremo collegio “O l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati”.

In tal senso la recente pronuncia della Cassazione n. 9216 del 2024, di orientamento opposto a quella del 2023, ritiene possibile il patteggiamento per il reato tributario di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, anche senza il pagamento del debito tributario. Per la Corte il mancato integrale pagamento degli importi dovuti non è ostativo alla formulazione della richiesta di patteggiamento poiché in relazione al delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 d.Igs. n. 74 del 2000 l’estinzione dei debiti tributari prima dell’apertura del dibattimento “non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13 bis del medesimo d.Igs., in quanto il comma 2 dell’art. 13 del predetto decreto, dispone poi che i reati di cui agli artt. 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo”. Tale condizione realizza una causa di non punibilità che, in quanto tale, si pone in senso ostativo al patteggiamento, non potendo predetto istituto riguardare reati non punibili.

L’attuale orientamento della Corte sembra non considerare l’estinzione del debito tributario, neanche per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, una condizione necessaria per accedere al patteggiamento. Condivisibile, a parere dello scrivente, tale indirizzo, poiché mantiene una funzione risarcitoria e deflattiva, lasciando comunque al contribuente la possibilità di accedere al patteggiamento e ai benefici che esso comporta anche per il sistema giudiziario. Non trattandosi, poi, di reati ostativi, la limitazione dell’accesso al rito alternativo sembrerebbe quanto meno una violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Si consideri, infine, che l’Erario può in ogni modo recuperare i crediti con maggior celerità, tramite lo strumento della confisca. Difatti con sentenza n. 25317 del 2023, la Cassazione ha chiarito che, in materia di reati tributari, la confisca resta obbligatoria e non può neanche dopo le novelle della Riforma Cartabia, essere oggetto di patteggiamento.

Alberto Biancardo
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