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Il reato di falso materiale in atto pubblico, fra silenzi normativi e statuizioni giurisprudenziali contraddittorie

Professore a contratto Università Mercatorum e Università degli Studi di Salerno, Avvocato specialista in diritto penale e Avvocato lavorista.

Un falso materiale è un atto non genuino in quanto contraffatto, alterato, ovvero proveniente da soggetto diverso da quello abilitato alla sua formazione. Le condotte finalizzate alla falsificazione documentale sono punite dal codice penale agli articoli 476 e seguenti. La falsità materiale si distingue dalla falsità ideologica, relativa ad un documento che, seppur non materialmente contraffatto ed emanato da un soggetto legittimato, risulta tuttavia non veritiero nel suo contenuto. Riguardo all’elemento soggettivo, non essendo previsto il reato di falso colposo, la falsità dell’atto può sussistere solo se oggetto di volizione, non potendosi perciò punire mere condotte negligenti o imprudenti del soggetto agente. L’art. 476 c.p. punisce con la reclusione da uno a sei anni il pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, mentre se il reato è commesso dal privato o dal pubblico ufficiale fuori dall’esercizio delle proprie funzioni si applica, ex art. 482 c.p., predetta pena ridotta di un terzo. Nel primo caso avremo un reato proprio, mentre nel secondo si verificherà la meno grave fattispecie del falso di privato in atto pubblico, reato comune, che può essere commesso da chiunque poiché non è necessaria la qualifica di pubblico ufficiale. La diversificazione fra i delitti di falsità materiale in atto pubblico e di falso in scrittura privata, quest’ultimo depenalizzato ad opera del d.lgs. n. 7 del 2016, risiede invece nella diversa funzione, pubblica o privata, degli stessi.

Al cospetto di una normativa sulla falsità materiale estremamente sintetica e sommaria, l’interprete ha dovuto compiere un’attività ermeneutica non indifferente che, negli anni, si è frazionata in molteplici e ben distinti orientamenti, sia dottrinali che giurisprudenziali, prevalentemente contrastanti sul piano formale e su quello sostanziale. La stessa Suprema Corte di Cassazione ha, in più occasioni, seguito orientamenti differenti che non sempre sono stati efficacemente definiti dalle Sezioni Unite. La molteplicità di punti di osservazione nella definizione del delitto in parola ha provocato una crescente incertezza, non solo fra gli operatori del diritto con specifico riguardo alle pronunce di merito, ma soprattutto fra gli stessi destinatari delle norme giuridiche, ossia le persone comuni, in particolare impiegati, commercialisti, amministratori pubblici e professionisti in generale.

Un primo dubbio sorge con riferimento alla fattispecie cui viene ascritta la condotta illecita del commercialista che falsifica materialmente un atto pubblico. Sembrerebbe, prima facie, non esserci alcun dubbio circa l’ascrizione al delitto di falsità del privato in atto pubblico, ex art. 482 c.p., per l’assenza della qualifica di pubblico ufficiale, tuttavia in alcuni casi la Cassazione ha confermato la condanna al professionista ex art. 476 del codice penale. Al riguardo si può citare la sentenza del 7 marzo 2016, n. 34912, con cui la quinta sezione penale della Suprema Corte ha ritenuto responsabile un commercialista del reato di falsità del pubblico ufficiale in atto pubblico, in concorso con un ex dipendente dell’Agenzia delle Entrate, per aver falsificato dei provvedimenti di sgravio per debiti tributari di alcuni contribuenti. Predetta sentenza potrebbe apparire discutibile poiché il reato proprio necessita inequivocabilmente di una specifica qualifica del soggetto agente, ossia il ruolo di pubblico ufficiale, che nell’ipotesi de qua non sussiste in alcun modo. Tuttavia si rammenta che l’art. 110 c.p. nel combinato disposto con l’art. 117 c.p., prevedente la c.d. mutatio titoli, permette di rendere tipiche le condotte del soggetto che, in base alla norma sul reato proprio, non sarebbero tali per mancanza della qualifica soggettiva. In tal senso la Cassazione penale, sentenza n. 2245 del 14 dicembre 2022, ha stabilito che “in tema di concorso di persone nel reato proprio “non esclusivo”, l’azione tipica può essere compiuta dal concorrente non qualificato”, a condizione che questi conferisca il proprio contributo alla realizzazione del reato. Nonostante permangano perplessità sul punto, è pertanto possibile l’ascrizione al delitto di falsità del pubblico ufficiale in atto pubblico anche a carico di coloro che non hanno la qualifica di pubblico ufficiale, qualora ricorra l’ipotesi specifica del concorso di persone nel reato proprio.

Controversa può apparire, altresì, la classificazione dei reati di falsità. I reati di falso documentale trovano allocazione nel codice penale al titolo VII del libro II, “Dei delitti contro la fede pubblica”. Essi sono, difatti, reputati offensivi della pubblica fede, bene giuridico immateriale che si realizza nella fiducia riposta dalla collettività nei confronti di contesti cui l’ordinamento attribuisce un particolare credito. Secondo la dottrina più rigida resta irrilevante l’interesse del singolo eventualmente danneggiato dal falso poiché questi non viene considerato titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, ferme restando le opzioni di carattere civilistico. Tale orientamento riconosce ai delitti contro la pubblica fede una tutela esclusivamente dell’interesse pubblico, e solo in via mediata e di riflesso la tutela si estende all’interesse del singolo. Tuttavia parte della più autorevole dottrina (vedi Antolisei) e della giurisprudenza ha ritenuto che il bene tutelato non sia esclusivamente, uti cives, la fede pubblica, ma attenga anche uti singuli, al soggetto nei cui confronti l’atto falso incide direttamente, secondo il canone della concreta offensività, ascrivendo pertanto tali delitti alla categoria dei reati plurioffensivi. La natura plurioffensiva dei reati di falso è emersa dai recenti orientamenti della Suprema Corte che li considera idonei alla lesione, oltre del bene della fede pubblica, anche della sfera giuridica individuale, qualora si rivelino concretamente idonei al correlato pregiudizio di diritti soggettivi. A seguito di un prolungato contrasto della giurisprudenza di legittimità, la Sez. V penale ha rimesso l’annosa questione alle Sezioni Unite. Con la sentenza delle SS.UU. del 25 ottobre 2007, n. 46982, si è, così, giunti ad ammettere il carattere plurioffensivo del falso documentale, qualificando il soggetto privato quale persona offesa, e non esclusivamente come danneggiato dalla falsità dell’atto, legittimato pertanto ad opporsi ad un’eventuale richiesta di archiviazione. Si è rilevato che la legittimazione alla presentazione della querela nei reati di falso possa essere, indubbiamente, letta come una conferma dell’interesse del privato alla genuinità del documento, nella cui titolarità ha origine la stessa querela. Le Sezioni Unite concludono, pertanto, statuendo che i delitti contro la fede pubblica “tutelano anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l’atto incide direttamente, soggetto che, in tal caso, è legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione”.

La problematica può apparire ormai superata e di poco rilievo, stante la possibilità offerta, e mai negata, al soggetto danneggiato di costituirsi parte civile. La rilevanza della questione emerge, tuttavia, con riferimento al c.d. falso innocuo, atto concretamente inidoneo ad aggredire la sfera giuridica altrui e gli interessi potenzialmente minacciati. Per la Corte l’ipotesi del falso innocuo convalida il principio che nei delitti di falso si debba riconoscere, accanto alla lesione della fede pubblica, anche la concreta attitudine offensiva della sfera giuridica del singolo, poiché presuppone un accertamento in concreto, in relazione alla specifica situazione giuridica su cui la stessa ha inciso. Sulla scorta dell’orientamento posto dalle SS.UU., la Cassazione penale n. 5896 del 29 ottobre 2020 ha statuito che ricorre il falso innocuo qualora l’infedele attestazione ovvero l’alterazione del documento, siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e non esplicano effetti sulla sua funzione documentale. Nell’ipotesi in cui venga accertato in giudizio il falso innocuo, ovviamente l’imputato dovrà essere mandato assolto.

Secondo un orientamento giurisprudenziale di legittimità, poi, il delitto di falso materiale è un reato di pericolo astratto, sempre idoneo a porre in pericolo il bene della fede pubblica, anche quando non è idoneo a trarre in inganno, non essendo necessario per la sua configurazione alcun evento dannoso, né un particolare accertamento circa la concreta pericolosità dell’atto. Anche su questo punto le posizioni della Corte sono contrastanti. Difatti, un differente orientamento, richiede che per la sussistenza del falso sia necessaria una reale capacità decettiva dell’atto. Di talché l’ipotesi di falso grossolano, che “ricorre quando si è in presenza di falsi immediatamente rilevabili ictu oculi, senza la necessità di particolari indagini”, secondo la Cassazione (23 marzo 2015, n. 12088) non costituisce reato poiché non può ritenersi lesiva di un bene giuridico tutelato. Dello stesso orientamento la Cassazione n. 46176 del 2019 secondo la quale non risultano violate le norme sulla falsità materiale quando “sia chiaro che si tratti di una copia” nonché le Sezioni Unite n. 35814 del 2019 secondo cui è da escludere il falso qualora manchi “la verosimiglianza a trarre in inganno i terzi”. Non vi è, pertanto, reato di falso quando l’atto inesistente sia “visibilmente riconoscibile come tale”, ovvero quando la copia sia priva dei requisiti “capaci di farla sembrare un atto originale o, comunque, documentativo dell’esistenza di un atto corrispondente”.

È proprio sulla comparazione fra il documento originale e quello falso e sui requisiti di quest’ultimo che emergono le maggiori contraddizioni giurisprudenziali e, di conseguenza, le maggiori incertezze interpretative riguardo alla configurabilità del delitto di falsità materiale. La giurisprudenza maggioritaria sembrerebbe escludere il reato in caso di formazione di un atto presentato come copia di un documento originale in realtà inesistente, ovvero dell’atto sfornito di attestazione di autenticità. Difatti per la Cassazione, ordinanza n. 54689 del 2018, “la formazione ad opera del privato di una falsa fotocopia di un documento originale inesistente, presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che confermi la sua originalità o la sua estrazione da un originale esistente, non integra alcuna ipotesi di falso documentale, anche nell’eventualità in cui la stessa abbia, in astratto e per la sua verosimiglianza, attitudine a trarre in inganno i terzi”. In tale prospettiva “si ritiene che la creazione della mera copia fotostatica non integri una falsità punibile, in difetto di una sua autenticazione”. Ciò in quanto la copia semplice è sprovvista di quella funzione probatoria che l’ordinamento riconosce, oltre che al documento originale, alla sola copia autentica, mancando così l’offesa al bene giuridico protetto. La Cassazione, poi, con sentenza n. 26108 del 2020, ha stabilito che “la riproduzione fotostatica di uno sgravio amministrativo inesistente, priva di attestazione di autenticità non può integrare i reati di falso”, e  che (Cassazione n. 3273 del 2018) “non è configurabile il reato di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 cod. pen. qualora oggetto di alterazione sia una mera riproduzione fotostatica, presentata come tale e priva di attestazione di autenticità, in quanto per sua natura sprovvista di funzione probatoria”.

A causa dei continui contrasti giurisprudenziali, sul punto sono intervenute le Sezioni Unite con sentenza 28 marzo 2019, n. 35814, le quali hanno statuito che, per configurarsi il reato di falso, la contraffazione debba “incidere materialmente sui tratti caratterizzanti il documento in tal modo prodotto, attribuendogli una parvenza di originalità, così da farlo sembrare, per la presenza di determinati requisiti formali e sostanziali, un provvedimento originale o la copia conforme, originale, di un tale atto ovvero comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente”. La Corte, nell’osservare che la rilevanza penale dell’utilizzo di una fotocopia contraffatta non possa prescindere dalla presenza al suo interno “di attestazioni formali che la facciano figurare come estratta da un documento originale, riconducendola di fatto alla categoria delle copie autentiche”, conclude statuendo che “la mancanza di attestazioni confermative dell’autenticità della copia è ritenuta tale da escludere di per sé la ravvisabilità del reato“.

Nell’ipotesi in cui l’originale sia inesistente le SS.UU. sono chiare nello stabilire l’insussistenza del falso materiale, mentre in caso di mancata corrispondenza della copia con l’atto originale la decisione della Corte non convince, giacché non chiarisce tutti i punti controversi della questione. Nello specifico, la Corte richiede, ai fini della qualificazione del reato di falsità materiale, una semplice parvenza di originalità dell’atto, così da farlo sembrare originale, o almeno una modalità di confezionamento del documento che lo renda dimostrativo dell’esistenza dell’atto. Tuttavia la Corte stessa, in un passaggio successivo, richiede un quid pluris, ossia la presenza nella copia di particolari attestazioni di autenticità, reputando invece inidonea per configurare la fattispecie, la mera presentazione di una copia avente l’apparenza della riproduzione dell’originale. Nei limiti posti dalla facoltà discrezionale che detiene il giudicante caso per caso, la contraddizione può essere risolta con un semplice esercizio logico: qualora mancassero gli elementi che conferiscono una parvenza di autenticità al documento, non si porrebbe alcun problema di qualificazione, poiché ci si troverebbe di fronte ad un c.d. falso grossolano, che non configura l’ipotesi del reato di falso. Non sarebbe stata, pertanto, necessaria alcuna ulteriore precisazione da parte delle Sezioni Unite. Da ciò si può agevolmente dedurre che la verificazione del delitto falso materiale richieda la presenza nel documento di un elemento aggiuntivo, ossia delle attestazioni di autenticità, non essendo sufficiente, sic et simpliciter, la verosimiglianza all’atto originale per la messa in pericolo dei beni tutelati dalla norma.

Alberto Biancardo
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