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Imprese Agrituristiche: corretto inquadramento previdenziale
Con nota 5486 diramata il 16 luglio c.a., l’Ispettorato Nazionale del lavoro (INL), d’intesa con INPS e INAIL, ha reso importanti chiarimenti in materia di corretto inquadramento delle imprese agrituristiche.
A tal fine, l’Ispettorato centrale ha ricordato ai propri Uffici territoriali e periferici che il medesimo inquadramento debba sempre tenere conto delle diverse fonti normative che insistono in materia, non soltanto per una maggiore completezza istruttoria ma soprattutto al fine di evitare l’insorgenza di ipotetici, tuttavia sempre possibili contenziosi.
Premesso ciò, nella disciplina de qua, sarebbe utile anzitutto riprendere e nuovamente rileggere con particolare attenzione le sentenze n. 11076/2006, n. 10905/2011 e n. 16685/2015 della Suprema Corte di Cassazione, peraltro organicamente richiamate dall’INL in una unica circolare (circ. INL n. 1/2020).
Secondo tali orientamenti, le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di bestiame devono comunque rimanere principali rispetto a quelle ricettive e di ospitalità che si pongono in rapporto di “connessione e complementarietà” con esse.
La medesima circolare INL aveva altresì chiarito che “laddove si riscontra una notevole consistenza dei redditi ricavati dall’attività di ristorazione, grande sproporzione del tempo dedicato all’attività di ristorazione rispetto a quello dedicato all’attività agricola, con prevalenza del primo e utilizzo di prodotti acquistati sul mercato in misura maggiore rispetto a quelli provenienti dall’attività agricola principale, non può legittimamente permanere una classificazione nel settore agricoltura di tali aziende”.
Tuttavia, tale indicazione va riponderata tenendo in debita considerazione la disciplina regionale di riferimento che, a sua volta, va applicata in funzione delle modifiche apportate alla Legge n. 96/2006 intervenute nel 2021 e quindi successive alla suddetta circolare INL n. 1/2020. Relativamente alla citata disciplina regionale, ricordiamo che la Legge n. 96/2006 assegnò proprio alle Regioni la individuazione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alle attività agrituristiche (art. 7).
Le stesse Regioni erano e sono altresì tenute a dettare “criteri, limiti e obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica” nonché “criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole che devono rimanere prevalenti” (art. 4).
Al riguardo, la valutazione del rapporto di connessione non può prescindere dunque dai criteri definiti dalla legislazione regionale che, sul punto, integra (o viene impegnata a integrare) quella nazionale, sulla base della delega contenuta nella più volte sopracitata norma del 2006, nonché della circostanza per cui l’autorizzazione allo svolgimento delle attività in parola sono di effettiva competenza delle Regioni stesse.
Proprio in relazione ai “criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole”, inoltre, occorre tenere conto di quanto stabilito dall’art. 68 del Decreto-Legge n. 73/2021, convertito dalla Legge n. 106/2021.
Difatti, il comma 10 della citata disposizione, da un lato, ha stabilito che “al fine di sostenere l’incremento occupazionale nel settore agricolo e ridurre gli effetti negativi causati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, fatti salvi i criteri di cui all’articolo 2135 del codice civile per il rispetto della prevalenza dell’attività agricola principale, gli addetti di cui all’articolo 2, comma 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 96” – e cioè “l’imprenditore agricolo e i suoi familiari ai sensi dell’articolo 230-bis del codice civile, nonché i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale” – “sono considerati lavoratori agricoli anche ai fini della valutazione del rapporto di connessione tra attività agricola ed attività agrituristica”; dall’altro, al comma 11, il medesimo D.L. n. 73/2021 ha modificato la precedente Legge n. 96/2006 sopprimendo, fra i criteri da utilizzare da parte delle Regioni e delle Province autonome ai fini della valutazione della prevalenza delle attività agricole rispetto alle attività agrituristiche, quello del cd. “tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività”.
Che significa tutto ciò? In altre parole, tutto ciò vuol dire che, alla luce di tale novità legislativa, non è più rilevante, ai fini della determinazione della connessione, la valutazione della maggiore consistenza delle risorse umane impegnate nell’agriturismo rispetto a quelle impegnate nell’attività agricola principale ed è comunque rimessa alle Regioni la disciplina della connessione ai fini della valutazione della sussistenza o meno della prevalenza dell’attività agricola principale.
In massima sintesi e infine, le imprese agrituristiche – d’ora in avanti – potranno essere ammesse a questa particolare tipologia di inquadramento tenendo conto dei diversi requisiti e parametri appena descritti, identicamente e conseguentemente, il personale ispettivo, nel corso dei futuri accertamenti, dovrà tener conto delle precipue regole regionali dettate apposta per questo specifico settore di attività.
Di seguito la Nota 5486 del INL:
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