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LA DISPARITÀ TRA FISCO E CONTRIBUENTE NEL D.L. “CURA ITALIA”

Profilo redazionale della testata giornalistica.

A distanza di qualche giorno dall’emanazione del c.d. “d.l. Cura Italia” (d.l. n. 18, pubblicato in G.U. il 17 marzo 2020), ancora non convertito in legge, possono trarsi alcune conclusioni, in relazione alle misure ivi adottate dal nostro legislatore, per limitare il contraccolpo economico dovuto alla contingente emergenza sanitaria mondiale, che ha portato a quarantene forzate e ad un generale blocco delle attività del nostro Paese considerate “non essenziali”.

Ciò che emerge ad una prima lettura del citato decreto legge (e dalla sua relazione illustrativa) è che il governo italiano, nonostante il chiaro intento di sostenere la continuità del tessuto economico nazionale, non sia completamente riuscito a contemperare le esigenze:

  • dello Stato, che ha bisogno, per funzionare, di continue entrate;
  • del contribuente, il quale, non essendo – al momento – in condizione di poter condurre normalmente la propria attività, non dispone della liquidità necessaria per far fronte ai propri impegni tributari.

In questa contrapposizione di interessi, sembra che il nostro legislatore, con il d.l. Cura Italia, si sia, per ora, sbilanciato a favore dell’amministrazione finanziaria, in quanto:

  • l’Ufficio beneficia di:
    • una sospensione, dall’8 marzo al 31 maggio 2020, per “i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso […]” (art. 67, comma 1);
    • un’ultrattività del potere di accertamento di ulteriori due anni per gli anni d’imposta i cui termini di decadenza spirano il 31 dicembre 2020. In tal modo, l’anno d’imposta 2015 potrà essere oggetto di controllo fino al 31 dicembre 2022 (art. 67, comma 4);
  • il contribuente, invece, beneficia delle seguenti sospensioni:
    • dall’8 marzo al 31 maggio 2020, per quei versamenti “derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nonché dagli avvisi” di accertamento esecutivi (art. 68, comma 1, prima parte). A fronte di tale riconoscimento, però, il contribuente è tenuto a versare quanto dovuto durante il periodo di sospensione “in unica soluzione” entro il 30 giugno 2020 (art. 68, comma 1, seconda parte);
    • dal 9 marzo al 15 aprile 2020, per il compimento di tutte quelle attività processuali ricadenti in tale periodo temporale (art. 83).

Dal quadro sopra delineato, emergono alcune criticità che evidenziano un’ingiusta disparità di trattamento tra quanto riconosciuto al Fisco e quanto concesso al contribuente.

Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti circostanze:

  1. ai fini contenziosi, il contribuente beneficia di un termine di sospensione di “soli” 38 giorni, contro gli 84 giorni (più del doppio!) previsti a favore dell’amministrazione finanziaria. Questo reca un’enorme discrasia. Si consideri, ad esempio, il caso in cui il contribuente proponga ricorso ai sensi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 e lo spirare dei termini di reclamo (i famosi novanta giorni) avvenga durante il periodo di sospensione 9 marzo-15 aprile 2020. In tal caso, il contribuente, per non incorrere in decadenze, si troverebbe costretto a depositare il ricorso senza attendere la risposta degli Uffici (posto il maggior termine ad essi riconosciuto fino al 31 maggio 2020, ai fini delle liti fiscali), con conseguente sua esposizione alla sanzione dell’improcedibilità o all’eventuale accoglimento “tardivo” della sua istanza da parte degli uffici finanziari (con inutile pagamento, in questa seconda evenienza, del contributo unificato);
  2. ricadono sul contribuente le inefficienze di organizzazione interna degli uffici finanziari, ai quali è riconosciuto un periodo ulteriore di due anni per accertare il periodo d’imposta 2015;
  3. l’intento del legislatore di salvaguardare la continuità economica dei contribuenti è, di fatto, vanificato, in quanto:
    1. da un lato, ci si limita a spostare le scadenze fiscali ad un periodo immediatamente successivo (30 giugno 2020) a quella che dovrebbe essere (in teoria) la fine dell’emergenza sanitaria (con conseguente accumulo di quanto dovuto in un unico versamento);
    2. dall’altro, non si riconoscono, come meritevoli di sospensione per il periodo 8 marzo-31 maggio 2020, i versamenti dovuti in relazione a: avvisi bonari, accordi di adesione, accordi conciliativi e accordi di mediazione.

Chiarimenti sul perimetro di applicazione della disciplina sopra richiamata non sono stati forniti nemmeno, a nostro sommesso avviso, dall’Agenzia delle Entrate, la quale, con le circolari n. 5 e 6/E/2020, non è riuscita a dare compiutamente una risposta nemmeno in merito all’inclusione, nella sospensione dei termini processuali, dei termini previsti per il perfezionamento degli accertamenti con adesione.

Questo stato di incertezza legislativa, nei termini da noi sopra delineati, è condiviso anche dalla Corte dei Conti, la quale, con una memoria pubblicata lo scorso 25 marzo, si è espressa come segue:

  • quanto al disallineamento dei termini processuali tra Fisco e contribuente, vi è «un ingiustificato vantaggio per la parte processuale pubblica, che potrà avvalersi di un più ampio margine di tempo per adempiere agli oneri del processo. Andrebbe, pertanto, valutata la possibilità di espungere dal testo dell’art. 67 il riferimento all’attività “di contenzioso”» (punto n. 24);
  • se fosse confermato l’ampliamento biennale dei termini di accertamento, per il periodo d’imposta 2015, «la norma entrerebbe in conflitto con l’enunciato “principio di corrispondenza”, per effetto di una sospensione dei termini relativi all’attività degli uffici ben più ampia della sospensione dei versamenti, nella circostanza non giustificata peraltro dalle difficoltà operative degli uffici, normalmente connesse con gli eventi sismici, che hanno ispirato la previsione del citato comma 2 dell’art. 12» (punto 25);
  • con riguardo al versamento, entro il 30 giugno 2020, di tutti i versamenti scadenti a quella data, compresi quelli “sospesi” dall’art. 68 del d.l. Cura Italia, «la mancata esplicita riproposizione della facoltà di rateizzare, nei modi ordinari, i carichi oggetto di sospensione, potrebbe comunque comportare elementi di incertezza in sede applicativa».

Da più parti, quindi, si auspica che il legislatore intervenga, in sede di conversione del d.l. Cura Italia, per chiarire le criticità fin qui rilevate (magari, seguendo proprio le linee guida dettate dalla Corte dei Conti nella memoria del 25 marzo scorso).

Accanto a ciò, urge anche una complessiva rivisitazione del nostro sistema tributario (oggi, più che mai, necessaria), in ottica di semplificazione e di indagine circa l’effettiva capacità contributiva dei contribuenti.

Al momento, infatti, gli unici soggetti che potrebbero rispettare “normalmente” gli adempimenti previsti dall’attuale sistema tributario italiano sarebbero le “attività essenziali” (e la relativa filiera produttiva) non bloccate dal nostro legislatore.

Per tutti gli altri, invece, senza un incisivo intervento legislativo, si prospetterebbe un futuro incerto e, a farne le spese, sarebbe complessivamente lo Stato italiano (sue istituzioni e cittadini).

Si auspica, quindi, nell’immediato avvenire, un incisivo intervento dello Stato nell’economia del Paese, volto all’effettiva valorizzazione dei princìpi stabiliti dalla nostra costituzione, in termini di giustizia sostanziale e di equità.

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