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L’azione di responsabilità degli amministratori di società
L’articolo 2476 del codice civile stabilisce che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società che amministrano dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.
Trattasi di solidarietà passiva per cui il soggetto danneggiato (che è la società) può ottenere il risarcimento del danno indifferentemente e per l’intero anche da uno solo degli amministratori, escluso quelli che abbiano espresso il proprio dissenso prima del compimento dell’atto che ha causato il danno, dimostrando in tal modo la mancanza di colpa.
Ma la società danneggiata è rappresentata dal medesimo o dai medesimi amministratori tenuti al risarcimento, i quali non possono essere obbligati ad agire contro se stessi. Pertanto il legislatore ha previsto che l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori possa essere esercitata da ciascun socio, che non acquista per ciò stesso la qualità di soggetto danneggiato, ma riceve solo la legittimazione ad agire come sostituto processuale della società.
Tale qualifica è stata ribadita dalla Suprema Corte (Sez. 1 – Sentenza n. 19745 del 25 luglio 2018) con conseguente diritto anche all’eventuale impugnazione della sentenza emessa : “La legittimazione individuale straordinaria, di cui all’art. 2476, comma 3, c.c., che consente al socio di proporre l’azione sociale di responsabilità, essendo riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., permane anche in sede di gravame, quand’anche la società abbia omesso di impugnare la sentenza reiettiva della domanda risarcitoria, salva la sola ipotesi in cui l’azione sia stata fatta oggetto di rinuncia o transazione da parte dell’ente”.
Tuttavia, rimanendo la società l’unica titolare del diritto al risarcimento, si configura un litisconsorzio necessario tra il socio procedente e la società che ovviamente, in questa controversia, non può essere rappresentata dagli amministratori sui quali grava la legittimazione passiva.
Poiché il rispetto del litisconsorzio necessario è condizione di garanzia del contraddittorio e quindi di valida instaurazione del rapporto processuale, occorre procedere, al fine di evitare la nullità del giudizio, alla nomina di un curatore speciale della società, previsto in genere dall’art. 78 c.p.c. per la rappresentanza non solo degli incapaci, ma anche delle persone giuridiche quando si profili, come nel caso sopra illustrato, un conflitto di interessi con il rappresentante.
La nomina del curatore speciale deve essere chiesta al presidente del Tribunale ove ha sede la società o, per le società di capitali, alla sezione del Tribunale specializzata per le imprese oppure, se la controversia è stata già instaurata, al giudice istruttore. Può essere chiesta dal pubblico ministero, che ovviamente deve essere sollecitato da qualche interessato altrimenti non verrebbe neppure a conoscenza della lite instauranda oppure può essere sollecitato dallo stesso giudice istruttore che rileva il litisconsorzio necessario.
Con maggior frequenza la nomina viene chiesta dallo stesso socio procedente oppure dall’amministratore citato in giudizio: la legge prevede che la richiesta possa essere formulata da qualunque parte in causa che vi abbia interesse. In tutti gli anzidetti casi, la richiesta incardina un procedimento di volontaria giurisdizione autonomo rispetto alla lite principale promossa dal socio. Il compenso del curatore dovrà gravare sulla società rappresentata salvo ristoro in caso di soccombenza degli amministratori.
Il curatore conserva la legittimazione processuale in rappresentanza della società fin quando i soci non provvedono alla nomina di un amministratore diverso da quello citato in giudizio o di un liquidatore. In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte ( Sez. 6 -Ordinanza n. 25317 del 20 settembre 2021): ” il curatore speciale mantiene la “legitimatio ad processum” solo fino a quando i soci non provvedono alla designazione di un nuovo legale rappresentante, spettando, poi, al giudice, acquisita la notizia, concedere un termine perentorio per la costituzione in giudizio di quest’ultimo, in applicazione dell’art. 182, comma 2, c.p.c., pena la nullità degli atti processuali compiuti dopo tale designazione”.
La stessa Sez. 6 della Suprema Corte, con l’Ordinanza n. 30075 del 31 dicembre 2020, ha stabilito che “Nel caso di cancellazione della società dal registro delle imprese non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito derivante dall’azione promossa ex art. 2476 c.c., atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere”.
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