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Responsabilità penale del consulente, buona fede del contribuente e disapplicazione delle sanzioni amministrative

Dottore Commercialista - Revisore legale dei conti
Giornalista pubblicista
Presidente del C.d.A. società di revisione «Imperium Audit S.p.A.»

Consulente

Un fatto penalmente rilevante addebitabile esclusivamente al consulente, il quale con coscienza e volontà della condotta, ponga in essere taluni atti causativi delle violazioni tributarie in pregiudizio del proprio cliente, ben potrebbe giustificare la disapplicazione delle sanzioni amministrative irrogate al contribuente.

La lesione del ben giuridico tutelato dalla norma penale, descritta nella denuncia-querela sporta dalla vittima, ove dipendente dalla provata previsione e volontà dell’evento di cui il consulente si sarebbe reso autore, costituisce un indispensabile presupposto fondativo della causa di non punibilità.

Il provvedimento impositivo notificato al contribuente, potrebbe essere originato dalla violazione di norme tributarie, impositrici o agevolative, determinata dalla condotta dolosa del consulente, quale soggetto incaricato di adempiere gli obblighi formali e sostanziali attinenti agli atti fiscalmente rilevanti compiuti dal proprio cliente.

La causa di non punibilità nelle vicende più ricorrenti

Il dispositivo normativo  di cui all’art. 6, comma terzo del D.Lgs n. 472 del 1997, rubricato “causa di non punibilità”, stabilisce che “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’Autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”.

I casi che potrebbero verificarsi nella realtà quotidiana, che configurano una condotta omissiva e/o commissiva del consulente, causativa di pregiudizio patrimoniale e morale, sono invero molteplici; a titolo esemplificativo e non esaustivo, si prospettano le seguenti ipotesi:

    • omessa presentazione della dichiarazione tributaria. Si consideri la circostanza in cui il consulente, sulla base di specifico incarico professionale redatto in forma scritta, o, in caso, agevolmente dimostrabile, si sia obbligato a predisporre e trasmettere, nell’interesse del proprio cliente, la dichiarazione fiscale. Nonostante l’impegno negoziale, potrebbe aver intenzionalmente deciso di omettere l’adempimento formale. assumendo una condotta cosciente e volontaria.
    • falsificazione della quietanza recata dalla delega di pagamento. Il professionista, dopo aver ricevuto dal proprio cliente la provvista finanziaria necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria, potrebbe aver falsificato la quietanza riportata nel modello F24 facendo credere di aver puntualmente provveduto al versamento degli importi calcolati in autoliquidazione.

La documentazione probatoria della causa di non punibilità

La prova della esclusiva riferibilità delle violazioni (formali e/o sostanziali) al consulente potrebbe invero essere fornita dal contribuente sia nel corso della fase amministrativa che in quella giurisdizionale: la possibilità di poter produrre ogni utile elemento probatorio a propria discolpa, già nel corso, ad esempio del contradditorio preventivo o in sede di accertamento con adesione, rappresenta un’occasione decisamente importante, posto che il puntuale assolvimento dell’onere probatorio  durante in confronto istruttorio potrebbe determinare la disapplicazione delle sanzioni; la compita allegazione probatoria nella fase procedimentale dell’accertamento con adesione, rappresenta un’occasione decisamente importante, posto che il puntuale assolvimento dell’onere probatorio durante il confronto istruttorio potrebbe determinare la disapplicazione delle sanzioni; la compiuta allegazione probatoria nella fase procedimentale dell’accertamento con adesione attivato su iniziativa del contribuente (successivamente alla notifica dell’atto di imposizione), potrebbe invece condurre alla rimodulazione della pretesa creditoria, con estromissione degli importi riferibili alle sole sanzioni amministrative.

In tema di onere della prova, il Giudice di legittimità ha costantemente affermato che “il contribuente, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi attribuibile al professionista “infedele”, deve fornire la prova non solo dell’attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato di questi, facendosi anche consegnare le ricevute telematiche dell’avvenuta presentazione della dichiarazione, ma anche del comportamento fraudolento del professionista, finalizzando a mascherare il proprio inadempimento all’incarico ricevuto, quindi anche mediante falsificazione di modelli F24 di pagamento delle imposte o delle ricevute di ricezione delle dichiarazioni telematiche o attraverso altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante”.

In buona sostanza, il comportamento illecito del professionista costituisce titolo sufficiente ad escludere ogni e qualsiasi colpa in capo al contribuente-vittima.

Maria Consiglia Viglione
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