skip to Main Content

L’attestazione di fattibilità negli accordi di ristrutturazione

Dottore Commercialista
Revisore Legale dei conti
Docente e formatore Crisi d’impresa

Il “travaso” di norme dalla disciplina fallimentare a quella recata dal Codice della Crisi interessa anche i lineamenti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, per i quali l’art. 57, comma 4, CCII dispone ora che la domanda sia corredata, tra gli altri, da una relazione, sempre demandata ad un professionista indipendente, che attesti “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”, nonché l’idoneità dell’accordo e del piano ad “assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini di cui al comma 3”.

Contenuto, almeno apparentemente, rafforzato rispetto alla speculare norma dell’art. 182 bis R.D. 267/42 (che prevedeva di attestare, oltre all’attuabilità dell’accordo, la sola veridicità dei dati aziendali) e che induce a qualche ulteriore riflessione.

Al di là del dettato normativo, oggi inequivocabile, già nel previgente sistema dover richiedere al professionista di attestare l’attuabilità dell’accordo comportava, comunque, una valutazione di “fattibilità” delle azioni programmate nel piano, seppur con un particolare focus sulla capacità di pagamento dei creditori estranei. In tal senso la giurisprudenza di legittimità  (Cassazione 08 maggio 2019 n° 12064) chiamata a pronunciarsi sul tema delle verifiche demandate al Tribunale, aveva sostenuto, affermando la natura concorsuale di tale istituto, che “il giudice, nella sede dell’omologa, non è limitato alla sola verifica di regolarità formale degli adempimenti previsti per legge, ma è tenuto a verificare tutti gli aspetti di legalità sostanziale e, tra questi, anche quelli inerenti la effettiva garanzia di soddisfacimento dei creditori estranei all’accordo nei termini previsti per legge” da intendersi in termini di “ragionevolezza e plausibilità del piano”.

Tuttavia, il quadro non appariva del tutto chiaro, dando ingresso ad un controllo giudiziale ad intensità diversa, calibrata in base alla presenza, o meno, di opposizioni da parte dei creditori non aderenti. Il tema è stato nuovamente affrontato e risolto, in chiave confermativa e sempre con riferimento al rito fallimentare, nella recente sentenza resa dal Tribunale di Roma (provv. del 21.06.2023) che, quand’anche concentri l’attenzione sul pagamento dei creditori estranei all’accordo, richiama i contenuti del precedente di legittimità sopra citato, valutando l’attestazione carente come inidonea a consentire l’omologazione.

Nel riformato sistema non vi è più dubbio in ordine sulle verifiche demandate al “professionista indipendente” che deve necessariamente pronunciarsi sulla “fattibilità” del piano, il che apre un’altra parentesi incidentale in ordine al perimetro di indagine dell’attestatore ed anche del Tribunale. Partendo proprio da quest’ultimo, pur in assenza di un’esplicita previsione, deve ritenersi, come si ricava nella Relazione Illustrativa al decreto correttivo, che in sede di omologa degli accordi di ristrutturazione il Tribunale sia tenuto a valutare certamente la fattibilità giuridica e, probabilmente, anche quella economica, seppur solo quale manifesta inattitudine (Tribunale Ferrara, 18 luglio 2023), potendo ampliare il campo esclusivamente nelle ipotesi di contestazione e senza garantire una valutazione di ufficio, facendo perno, in questo caso, sulle indicazioni della direttiva Unionale n. 2019/1023, al cui art. 10, par. 3 si legge “gli Stati membri assicurano che l’autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa”.

Quel che resta ancora non del tutto chiaro è l’ambito di indagine del professionista indipendente che ha subito, nel corso della lunga gestazione che ha portato alla definitiva introduzione del Codice della Crisi, una progressiva riduzione delle aggettivazioni.

La prima versione, equiparando gli istituti di regolazione della crisi, aveva, infatti, previsto la redazione di un’attestazione in ordine alla “fattibilità economica e giuridica” del piano; il D.Lgs. 147/2020 ne ha ridotto la portata eliminando il riferimento alla fattibilità “giuridica” e l’art. 15, comma 2, lettera b) del D.Lgs. 83/2022 ha, poi, soppresso anche l’inciso “economica” (ciò per esigenza di adeguamento e di coerenza con quanto previsto nel modificato art. 47 CCI in tema di apertura del concordato preventivo) lasciando il termine “fattibilità” privo di ulteriori specificazioni.

Sicché rimane compito dell’interprete quello di definire i contenuti delle lavorazioni ed in questo senso pare possa farsi applicazione di quella nozione unitaria di “fattibilità” che restituisce la lettura combinata degli articoli 112 e 47 CCI, quand’anche nelle diverse declinazioni che essa comporta in ipotesi di (a) continuità aziendale, dove l’indagine è limitata ad evitare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e non sia manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, consentendo la conservazione dei valori aziendali; e (b) in tutti gli altri casi, dove la fattibilità va intesa come non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Tommaso Nigro
Back To Top
Search
La riproduzione è riservata!