La Legge 5 marzo 2024, n. 21, meglio nota come "Legge Capitali", introduce importanti novità per…
Rivalutazione dei beni d’impresa
Rivalutazione dei beni d’impresa
Premessa
I commi da 696 a 703 dell’art. 1, Legge 27 dicembre 2019, n. 160[1] hanno previsto la possibilità di rivalutare i beni materiali e immateriali, nonché le partecipazioni in società controllate e in società collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. costituenti immobilizzazioni, riproponendo pressoché integralmente le disposizioni precedenti[2].
In realtà, il legislatore ripropone alle imprese di rivalutare in bilancio i beni immobilizzati ottenendo, attraverso il versamento di una imposta sostitutiva, il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti, con il conseguente effetto di poter dedurre maggiori ammortamenti e di ridurre le plusvalenze potenzialmente imponibili[3].
La rivalutazione stessa deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto relativo all’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, a condizione che il termine di approvazione dello stesso scada successivamente al 1° gennaio 2020, data di entrata in vigore della Legge di bilancio 2020[4].
Soggetti interessati
Possono effettuare la rivalutazione i soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R. (ovverosia le società per azioni o in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e di mutua assicurazione, le società europee e le società cooperative europee, gli enti commerciali – soggetti IRES), nonché – per effetto del rinvio all’art. 15 della Legge n. 342/2000 – le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le imprese individuali e gli enti non commerciali, a condizione che siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e che non adottino i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio d’esercizio. Sono ammesse alla rivalutazione anche le stabili organizzazioni in Italia di imprese estere.
Il regime di contabilità, ordinaria o semplificata in cui operano i soggetti interessati non rappresenta alcun impedimento alla possibilità di procedere alla rivalutazione, salvo quanto disposto dall’art 15 della Legge 342/2000, in base al quale i soggetti che fruiscono di regimi semplificati di contabilità devono eseguire la rivalutazione mediante la redazione di un prospetto bollato e vidimato[5] da iscrivere al registro dei cespiti ammortizzabili, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta[6].
Beni rivalutabili
Possono formare oggetto di rivalutazione i beni d’impresa materiali e immateriali (ancorché già completamente ammortizzati[7]) nonché le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. costituenti immobilizzazioni.
Non possono, invece, formare oggetto di rivalutazione:
– i beni materiali e immateriali alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa (materie prime, merci, prodotti finiti, etc.)[8];
– l’avviamento, i costi pluriennali, i beni monetari (denaro, crediti, obbligazioni, comprese quelle convertibili, ecc.);
– le partecipazioni che non siano di controllo o di collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c.;
– le partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, ancorché considerate di controllo o di collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c.
Ai fini fiscali, la rivalutazione deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea, così come individuati dall’art. 4 del D.M. n. 162/2001 ed è possibile anche la rivalutazione parziale del bene, ossia al di sotto del valore economico.
Condizione necessaria per procedere alla rivalutazione dei beni in parola è che siano presenti nel bilancio chiuso entro il 31 dicembre 2018, e siano riportati nel bilancio dell’esercizio successivo per il quale il termine di approvazione scade successivamente al 1° gennaio 2020.
Per quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria in occasione di analoghe discipline di rivalutazione[9], la rivalutazione è applicabile anche ai beni completamente ammortizzati[10] e alle immobilizzazioni in corso.
La possibilità di adeguamento del valore del bene in caso di acquisto in leasing sussiste solamente nel caso in cui il bene stesso sia stato riscattato entro l’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2018 e il prezzo pagato (valore di riscatto) sia stato correttamente imputato all’attivo immobilizzato[11].
Alla luce della riforma del bilancio d’esercizio introdotta dalla L. 139/2015, l’atteggiamento del Fisco appare confermato.
Una società che nel corso del 2018 proceda al riscatto di beni posseduti in leasing fino al 31.12.2018, realizzerebbe in pieno il requisito che ne consente la rivalutazione (nello stesso anno 2019). In questo modo il valore del cespite verrebbe infatti maggiorato dell’importo rivalutato e affrancato attraverso il pagamento dell’imposta sostituiva.
Nel caso di bene detenuto in diritto di superficie, la facoltà di rivalutazione spetta al titolare di tale diritto reale, mentre, nell’ipotesi di affitto o usufrutto d’azienda, la rivalutazione spetta rispettivamente all’affittuario o all’usufruttuario, in quanto soggetti cui compete la deduzione degli ammortamenti[12]. In tal caso, secondo una indicazione della circolare n. 13/E/2014 mai chiarita nel dettaglio, “al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, sempre che quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta”.
Modalità di rivalutazione
Per quanto concerne le modalità di effettuazione della rivalutazione, di cui vedremo successivamente le scritture contabili, l’art. 1, comma 702, della Legge di bilancio 2020 richiama le disposizioni contenute nell’art. 11 della Legge n. 342/2000 e negli artt. 4, 5 e 6 del D.M. n. 162/2001[13].
Il Ministero ha precisato che l’impresa può utilizzare metodi diversi di contabilizzazione della rivalutazione dei beni; lo stesso metodo contabile – sempre secondo il Ministero delle Finanze – deve essere adottato all’interno della stessa categoria di beni.
In particolare, la rivalutazione può avvenire secondo le seguenti modalità alternative[14]:
1) rivalutazione del solo costo storico: tale metodo determina un allungamento del processo di ammortamento, se viene mantenuto inalterato il coefficiente di ammortamento. Se si intende lasciare inalterata la durata del periodo di vita utile del cespite va incrementato il coefficiente con menzione in nota integrativa; in tale ultimo caso, le imprese stanzieranno quote di ammortamento maggiori di quelle che si sarebbero determinate applicando il coefficiente precedentemente utilizzato. Si ricorda che il par. 77 del principio OIC 16 stabilisce che “la rivalutazione di un’immobilizzazione materiale non modifica la stimata residua vita utile del bene, che prescinde dal valore economico del bene. L’ammortamento dell’immobilizzazione materiale rivalutata continua ad essere determinato coerentemente con i criteri applicati precedentemente, senza modificare la vita utile residua”;
2) riduzione del fondo di ammortamento: determina lo stanziamento di ammortamenti su un costo analogo a quello originario con allungamento della durata;
3) rivalutazione del costo storico e del fondo di ammortamento: il costo storico del bene da rivalutare e il relativo fondo di ammortamento sono contemporaneamente incrementati nella stessa proporzione cosicché rimane inalterata l’originaria durata del processo di ammortamento.
La rivalutazione effettuata secondo la prima e la terza modalità non potrà mai portare il costo rivalutato del bene ad un valore superiore a quello di sostituzione[15].
In ogni caso, qualunque sia il metodo adottato, il limite massimo della rivalutazione è rappresentato dal valore economico del bene.
Secondo il par. 75 del principio OIC 16, “Il limite massimo della rivalutazione di un’immobilizzazione materiale è il valore recuperabile dell’immobilizzazione stessa che in nessun caso può essere superato”.
In particolare, l’art. 11 della Legge n. 342/2000 prevede che i valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione non devono in alcun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni in base al loro “valore corrente” o al “valore interno” del bene, determinato sulla base dell’effettiva possibilità economica di utilizzazione del bene nell’impresa. Non è possibile adottare per alcuni beni appartenenti a una categoria omogenea il metodo di rivalutazione a valori correnti e per altri appartenenti alla stessa categoria quello basato sul valore interno[16].
Rivalutazione per categorie omogenee
Ai sensi del comma 607 dell’art. 1 della L. 160/2019, la rivalutazione “deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea[17]” e deve essere annotata per ciascun bene nel relativo inventario.
I requisiti di appartenenza alle diverse categorie sono quelli esistenti alla data di chiusura del bilancio in cui è eseguita la rivalutazione.
Per quanto attiene alle prescrizioni relative al concetto di “categoria omogenea” il D.M. n. 162/2001 (art. 4) prevede che:
– le azioni e le quote devono essere raggruppate in categorie omogenee per natura in conformità ai criteri di cui all’art. 94 T.U.I.R., ossia considerando “della stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto ed aventi uguali caratteristiche”;
– i beni materiali ammortizzabili, diversi dai beni immobili e dai mobili iscritti in pubblici registri, devono essere raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento sulla base delle “Specie” e dei “Gruppi” indicati nella tabella dei coefficienti di ammortamento di cui al D.M. 31 dicembre 1988;
– per i beni immateriali la rivalutazione può essere effettuata distintamente per ciascuno di essi poiché per tali beni non è configurabile il raggruppamento per categorie;
– gli immobili vanno considerati separatamente dai beni mobili iscritti in pubblici registri e, ai fini della classificazione in categorie omogenee, si distinguono in aree fabbricabili aventi la stessa destinazione urbanistica, aree non fabbricabili, fabbricati non strumentali, nonché fabbricati strumentali per natura e per destinazione, ai sensi dell’attuale art. 43, comma 2, T.U.I.R.; per quanto riguarda la divisione dell’immobile in fabbricato e area sottostante, operata ai sensi della disciplina di cui all’art. 36, commi 7, 7-bis e 8, del D.L. n. 223/2006, possono essere rivalutati sia il fabbricato che l’area sottostante o di pertinenza, ovvero la sola area o il solo fabbricato.
Ai fini della rivalutazione, le aree vanno comprese nella categoria omogenea degli immobili non ammortizzabili, mentre il fabbricato, se strumentale, deve essere compreso nella diversa categoria degli immobili ammortizzabili;
– i beni mobili iscritti in pubblici registri si distinguono, ai fini della classificazione in categorie omogenee, in aeromobili, veicoli, navi e imbarcazioni iscritte nel registro internazionale e navi ed imbarcazioni non iscritte in tale registro;
– l’eventuale rivalutazione dei beni ad uso promiscuo e dei beni a deducibilità limitata (telefoni cellulari, auto) deve riguardare l’intero valore dei beni, con il conseguente obbligo di versare l’imposta sostitutiva sull’intero saldo attivo di rivalutazione, indipendentemente dalla rilevanza fiscale del conseguente incremento.
Tuttavia il D.M. n. 162/2001 prevede la possibilità di escludere i beni a deducibilità limitata e quelli ad uso promiscuo dalla categoria di appartenenza, potendo dunque l’impresa evitare di rivalutarli.
La rivalutazione dei beni facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti i beni ad essa appartenenti.
Riserva di rivalutazione
La rivalutazione dei beni d’impresa origina una riserva di rivalutazione[18], che va scorporata dell’imposta sostitutiva versata. Tale riserva, alla luce del comma 2 dell’art. 13 della legge n. 342/2000, richiamato espressamente dal comma 702 della legge n. 160/2019, “ove non venga imputata al capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile[19]. In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile”.
Nel caso di distribuzione ai soci, il richiamo ai commi 2 e 3 dell’art. 2445 c.c. determina per le società di capitali:
- a) la necessità di una delibera assembleare, nel cui avviso di convocazione devono comparire le ragioni e le modalità della riduzione;
- b) l’obbligo di realizzare la riduzione con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo tale operazione non eccedano la decima parte del capitale sociale;
- c) la possibilità di eseguire la deliberazione soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
Si tratta di prescrizioni, in particolare l’ultima, che avvicinano notevolmente questa riserva al capitale sociale, alla riduzione del quale è dedicato l’art. 2445 c.c.[20]. Nulla disponendo la norma, dovrebbe trattarsi di normale assemblea ordinaria[21], comunque soggetta ad iscrizione al Registro imprese ed alla particolare procedura di sospensione temporale degli effetti.
E’ opportuno che, caso per caso, gli amministratori valutino attentamente l’opportunità di distribuire tale riserva, in particolare nelle imprese che presentano squilibri di tipo finanziario.
Basti pensare, ad esempio, al caso di una s.r.l. che presenti uno squilibro finanziario tale da far ritenere che eventuali finanziamenti soci siano da considerare postergati rispetto agli altri creditori, ai sensi dell’art. 2467 c.c.
In tale situazione, sarebbe avventata la decisione di distribuire la riserva da rivalutazione, tanto più che, mentre il finanziamento iscritto in bilancio aveva quantomeno determinato un versamento da parte dei soci, la riserva da rivalutazione si è originata da una pura operazione di natura contabile.
Pertanto, se sulla legittimità della distribuibilità della riserva non si nutrono eccessivi dubbi, sulla possibilità che questo possa avvenire senza conseguenze su chi la realizza si possono, ad avviso del sottoscritto, avanzare rilevanti perplessità.
Effetti fiscali della rivalutazione
Il comma 699 dell’art. 1 della Legge di bilancio 2020 stabilisce che “il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali nella misura del 12% per i beni ammortizzabili e del 10% per i beni non ammortizzabili”.
Non è consentito, come invece previsto in passato per altre leggi di rivalutazione, effettuare la rivalutazione con rilevanza solo civilistica, vale a dire senza il versamento dell’imposta sostitutiva.
Contabilmente l’imposta sostitutiva deve essere computata in diminuzione del saldo attivo della rivalutazione.
Alla luce delle norme, dunque, il maggior valore attribuito ai beni ammortizzabili in sede di rivalutazione si considera riconosciuto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, a decorrere dall’esercizio che inizia, per i contribuenti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, il 1° gennaio 2022.
Il comma 703 dell’art. 1 della L. 160/2019, solo per i beni immobili, prevede che i maggiori valori iscritti in bilancio si considerano riconosciuti con effetto dal periodo d’imposta in corso alla data del 1° dicembre 2021.
Prima del riconoscimento fiscale, i maggiori ammortamenti iscritti in bilancio e imputati a conto economico in misura superiore a quella fiscalmente deducibile devono essere recuperati a tassazione attraverso una variazione in aumento dal reddito imponibile (con conseguente necessità di compilare il quadro RV del Mod. Redditi per monitorare i disallineamenti tra valore fiscale e civile).
L’incremento del patrimonio netto, conseguente all’iscrizione del saldo attivo di rivalutazione in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni – che per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare viene evidenziato in sede di approvazione del bilancio dell’esercizio 2019 – assume invece rilevanza immediata nel bilancio in cui la rivalutazione è effettuata.
Un ulteriore differimento (comma 700 dell’art. 1 della L. 160/2019) è previsto per il calcolo delle plusvalenze e minusvalenze sui trasferimenti dei beni a seguito di cessione a titolo oneroso, assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore. Il maggior valore affrancato è riconosciuto a decorrere dal quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (quindi a decorrere dal 1° gennaio 2023).
Tuttavia, secondo quanto previsto dall’art. 3 del D.M. n. 86/2002 in caso di estromissione del bene durante il periodo di sospensione degli effetti fiscali della rivalutazione, è attribuito al soggetto che ha effettuato la rivalutazione un credito IRPEF/IRES pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferibile ai beni rivalutati e che fuoriescono dall’impresa.
A seguito di tale realizzo viene “liberata” sia dal punto di vista fiscale che civilistico la parte della riserva di rivalutazione riferibile ai beni oggetto di cessione.
Il differimento degli effetti fiscali della rivalutazione comporta la rilevazione delle imposte anticipate, in presenza dei presupposti di cui all’OIC 25, sugli ammortamenti civilistici che nel periodo di sospensione saranno ripresi a tassazione e che risulteranno deducibili in via extracontabile “in coda” al processo di ammortamento.
In particolare, gli ammortamenti da tassare saranno quelli degli esercizi 2020 e 2021, mentre nell’esercizio 2019 non vi saranno ammortamenti riferibili alla rivalutazione in quanto in detto bilancio la rivalutazione va effettuata dopo il calcolo degli ammortamenti dell’anno stesso, come ultima scrittura di bilancio.
Affrancamento del saldo attivo di rivalutazione
In contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni, nel patrimonio netto dell’impresa deve essere iscritto il saldo attivo (riserva) di rivalutazione che assume rilevanza nel bilancio in cui la rivalutazione stessa è effettuata al netto della relativa imposta sostitutiva.
Ai fini fiscali, il saldo attivo di rivalutazione costituisce una riserva in sospensione di imposta, tassata in caso di sua distribuzione. Per tale ragione, il legislatore prevede anche la possibilità di affrancare, in tutto o in parte, il saldo attivo risultante dalla rivalutazione mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP nella misura del 10%, da applicare al valore del saldo attivo computato al lordo dell’imposta sostitutiva di rivalutazione. In caso di opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva per l’affrancamento del saldo attivo, questa deve essere versata con le stesse modalità previste per l’imposta sostitutiva di rivalutazione.
La riserva costituita in seguito alla rivalutazione, qualora affrancata, è liberamente distribuibile e non concorre a formare il reddito imponibile del soggetto che effettua la distribuzione, ma solo quello del socio percettore secondo le regole ordinariamente previste per i dividendi.
Inoltre, sempre in caso di distribuzione del saldo attivo dopo l’affrancamento, troverà applicazione la presunzione di cui all’art. 47, comma 1, del T.U.I.R., secondo cui si considerano prioritariamente distribuite le riserve di utili rispetto alle riserve di capitali.
Si ricorda, invece, che, nell’ipotesi di distribuzione del saldo attivo non affrancato, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 13, comma 3, della Legge n. 342/2000 e all’art. 9, comma 2, del D.M. n. 162/2001, secondo le quali, in caso di distribuzione, “il saldo aumentato dell’imposta sostitutiva concorre a formare la base imponibile della società”. In tal caso, dopo aver pagato le imposte in capo alla società, l’intero saldo attivo distribuito costituisce utile in capo ai soci.
L’imposta sostitutiva pagata in sede di affrancamento del saldo di rivalutazione è indeducibile.
Da evidenziare che l’affrancamento del saldo attivo non produce effetti sul differimento del riconoscimento fiscale del maggior valore iscritto in bilancio sui beni in conseguenza della rivalutazione, che rimane dunque immutato.
Versamento dell’imposta sostitutiva
A norma del comma 701 della Legge di bilancio 2020 le imposte sostitutive relative alla rivalutazione dei beni e all’eventuale affrancamento del saldo attivo di rivalutazione devono essere versate in modo differente a seconda degli importi.
Per importi complessivi fino a euro 3.000.000 il versamento è effettuato in un massimo di 3 rate di pari importo di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, le altre con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi[22].
Invece, per i soggetti in contabilità semplificata, poiché non redigono il bilancio, non opera la tassazione del saldo attivo di rivalutazione in caso di distribuzione.
Per importi complessivi superiori a euro 3.000.000 il versamento è effettuato in un massimo di 6 rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, le altre con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi.
In entrambe le ipotesi la norma nulla dice in termini di interessi.
Gli importi da versare possono essere compensati nel Mod. F24 con eventuali crediti di cui dispone il contribuente, secondo le ordinarie regole di compensazione.
Secondo quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria con riferimento alle precedenti leggi di rivalutazione, l’esercizio dell’opzione per la rivalutazione dei beni d’impresa deve essere ritenuto perfezionato con l’indicazione in dichiarazione dei redditi dei maggiori valori rivalutati e della relativa imposta sostitutiva.
Pertanto, l’omesso, insufficiente e/o tardivo versamento dell’imposta sostitutiva non rileva ai fini del perfezionamento della rivalutazione, con la conseguenza che l’imposta sostitutiva non versata è iscritta a ruolo, ferma restando la possibilità per il contribuente di avvalersi del c.d. ravvedimento operoso.
A parere del sottoscritto, se non è stata compilata la dichiarazione dei redditi, né versata tempestivamente l’imposta sostitutiva non è possibile avvalersi del ravvedimento per effettuare entrambi detti adempimenti e perfezionare la rivalutazione, mentre se è stata versata l’imposta sostitutiva è possibile emendare, mediante ravvedimento, la dichiarazione nella quale non è stato compilato l’apposito quadro, così perfezionando la rivalutazione. Tuttavia tale posizione potrebbe contrastare con quella assunta dall’Agenzia delle entrate, che sembra permettere una dichiarazione integrativa per perfezionare la rivalutazione solo entro i 90 giorni successivi al termine ordinario di presentazione della dichiarazione.
Valutazioni di convenienza
Per valutare la convenienza della rivalutazione occorre confrontare l’esborso rappresentato dal pagamento dell’imposta sostitutiva con il vantaggio fiscale derivante dalla deduzione dei maggiori ammortamenti sulla rivalutazione o della minore plusvalenza in caso di realizzo del bene.
A tale riguardo va tenuto presente che la Legge di bilancio 2020 prevede le aliquote dell’imposta sostitutiva del 12% e del 10% rispettivamente per i beni ammortizzabili e non ammortizzabili, mentre le due aliquote della precedente legge di rivalutazione erano del 16% e del 12%.
Dunque per i beni ammortizzabili il confronto deve essere fatto tra l’imposta sostitutiva del 12% e l’aliquota ordinaria, che per i soggetti IRES è, nella maggior parte dei casi, pari al 27,9% (IRES 24% + IRAP 3,9%).
Il risparmio è quindi pari al 15,9%, importo che tuttavia deve essere attualizzato tenendo conto che l’imposta sostitutiva è versata nell’arco di 3 anni (per importi inferiori a euro 3 milioni) mentre il risparmio fiscale deve essere ripartito sulla durata del periodo di ammortamento fiscale del bene rivalutato, tenendo conto del periodo di differimento previsto dalla norma per quanto riguarda gli effetti sulla deducibilità degli ammortamenti.
In tale ottica gli attuali bassi tassi di interesse aumentano la convenienza della rivalutazione.
Da ultimo pare opportuno evidenziare che la rivalutazione si presenta più conveniente rispetto sia alla disciplina di affrancamento dei maggiori valori dei beni a seguito di operazioni straordinarie in neutralità fiscale (fusioni, scissioni e conferimenti d’azienda), atteso che l’art. 176, comma 2-ter, T.U.I.R. prevede aliquote a scaglioni nella misura del 12%, 14% o 16% (rispettivamente fino a 5 milioni di euro, da 5 a 10 milioni di euro e oltre 10 milioni di euro), che dell’affrancamento speciale di cui all’art. 15, commi 10 e seguenti, del D.L. n. 185/2008 prevede una aliquota unica del 16%.
Principio di prudenza
È indubbio che la rivalutazione produce un effetto positivo per la società in quanto consente di aumentare il patrimonio netto, circostanza che comporta un miglioramento degli indici patrimoniali rilevanti sia ai fini dei rating bancari, incrementando quindi la capacità di credito, sia ai fini del nuovo Codice della crisi di impresa[23].
La riserva di rivalutazione consente inoltre di coprire eventuali perdite di esercizio ed evitare le procedure di riduzione del capitale per perdite e per riduzione del capitale al di sotto del limite legale di cui, rispettivamente, agli artt. 2446 e 2447 c.c. (artt. 2482-bis e 2482-ter per le società a responsabilità limitata) e la possibile causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 del Codice civile.
La rivalutazione rappresenta tuttavia una esplicita deroga all’art. 2426 c.c., che prevede la valutazione dei beni al costo di acquisto o di fabbricazione, per cui deve essere valutata con particolare attenzione.
Infatti, come detto in precedenza, trova un limite nel valore d’uso o nel valore di mercato dell’immobilizzazione.
In tal senso l’art. 11 della Legge n. 342/2000 (richiamato dal comma 702 della Legge di bilancio 2020) prevede che gli amministratori e l’organo di controllo debbano indicare e motivare nelle loro relazioni al bilancio i criteri seguiti nella rivalutazione e attestare che la rivalutazione operata non ecceda il valore effettivamente attribuibile al bene oggetto di rivalutazione, avuto a riguardo alla sua consistenza, alla sua capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri[24].
Nel caso in cui il valore del bene rivalutato ecceda il valore d’uso o quello di mercato dell’immobilizzazione devono essere applicate le previsioni dell’OIC 9 in tema di perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni ai sensi dell’art. 2426, n. 3 del Codice civile. Secondo il principio contabile OIC 9, par. 16, “La società valuta a ogni data di riferimento del bilancio se esiste un indicatore che un’immobilizzazione possa aver subìto una riduzione di valore. Se tale indicatore dovesse sussistere, la società procede alla stima del valore recuperabile dell’immobilizzazione ed effettua una svalutazione soltanto nel caso in cui quest’ultimo sia inferiore al corrispondente valore netto contabile. In assenza di indicatori di potenziali perdite di valore non si procede alla determinazione del valore recuperabile”. Gli amministratori dovranno, quindi, porre particolare attenzione a non operare una rivalutazione nei casi in cui sarebbe corretto porsi il problema (inverso) della svalutazione. L’eventuale mancata svalutazione in presenza di una perdita durevole del valore rivalutato comporterebbe una sopravvalutazione del patrimonio della società che può portare, in determinate situazioni, come nel caso di un dissesto, a responsabilità patrimoniali e penali per amministratori e organi di controllo.
La rivalutazione deve essere inoltre valutata con estrema attenzione per le imprese in perdita che potrebbero presentare problematiche in ordine al mantenimento della continuità aziendale.
L’art. 2423- bis , comma 1, n. 1, c.c. prevede che la valutazione delle voci di bilancio sia fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività, mentre se viene meno il requisito della continuità aziendale la valutazione dei beni deve essere effettuata nella prospettiva del ridotto orizzonte temporale di vita della società, fino ad adottare il criterio del valore di presumibile realizzo del bene nel caso di delibera di liquidazione della società[25].
Scritture contabili
La rivalutazione del costo del cespite ammortizzabile
Stato Patrimoniale al 31/12/2018
Macchinario | 20.000 | ||
Fondo ammortamento | (6.000) | ||
14.000 |
“nuovo valore” del bene ammortizzabile: € 21.500
fondo ammortamento € 6.000
La scrittura contabile al 31 dicembre 2019 è la seguente:
___________________________________ _________________________________
Macchinari 1.500
Riserva di rivalutazione 1.320
Debiti tributari 180
Il “maggior valore” del macchinario di 1.500 non avrà rilevanza fiscale nell’esercizio 2019, ma solamente dall’esercizio 2022.
Negli esercizi 2020 – 2021, la quota di ammortamento (coefficiente 10%) deve essere suddivisa in:
– quota deducibile calcolata sul costo fiscale di 20.000;
– quota indeducibile calcolata sul “maggior valore” derivante dalla rivalutazione dei beni di 1.500.
A decorrere dal 1° gennaio 2022, gli ammortamenti fiscalmente deducibili saranno calcolati sul costo rivalutato di 21.500, con il coefficiente del 10%.
Il nuovo piano di ammortamento è il seguente:
ANNO | Quota ammortamento | Fondo | |
Deducibile | Indeducibile | ||
2018 2019 2020 2021 2022 | – 2.000 2.000 2.000 2.150 | –
150 150 – | 6.000 8.000 10.150 12.300 14.450 |
Nell’esercizio 2020, la quota di ammortamento di 2.150 è così suddivisa:
quota deducibile (20.000 * 10%) 2.000
quota indeducibile (1.500 * 10%) 150
Ammortamento 2.150
La scrittura contabile è la seguente (vale anche per l’anno 2021):
______________________________________ _________________________________
Ammortamento 2.150
Fondo ammortamento 2.150
La quota indeducibile dell’ammortamento di 150 determina il pagamento dell’IRES, in conseguenza della variazione in aumento del reddito imponibile.
Sotto il profilo contabile, vanno imputate le “imposte anticipate”, cioè:
_____________________________________ _________________________________
Imposte anticipate (S.P.) 36
Imposte anticipate (C.E.) 36[26]
A decorrere dall’esercizio 2022, la quota di ammortamento di 2.150 sarà interamente deducibile.
L’adozione del metodo di rivalutare solamente il costo storico del bene ammortizzabile determina il “disallineamento” tra il “valore civile” e il “valore fiscale” del bene ammortizzabile e lo stesso determina che il “nuovo costo” su cui calcolare le spese di manutenzione nella misura del 5% decorrerà dal 1° gennaio 2022.
Il metodo della riduzione del “fondo di ammortamento”
Situazione ante–rivalutazione:
Stato Patrimoniale 31/12/2019
Macchinario | 20.000 | ||
Fondo ammortamento | (6.000) | ||
14.000 |
Situazione post–rivalutazione, corrispondente alla diminuzione del fondo ammortamento che si riduce da 6.000 a 4.500.
La scrittura contabile è la seguente:
______________________________________ _________________________________
Fondo ammortamento 1.500
Riserva di rivalutazione 1.320
Debiti tributari 180
Stato patrimoniale 31/12/2019 (prima degli ammortamenti)
Macchinario | 20.000 | Riserva di rivalutazione (1.500 – 180) | 1.320 |
Fondo ammortamento (6.000 – 1.500) | (4.500) | Debiti tributari | 180 |
Totale | 15.500 |
Bilancio al 31 dicembre 2019: l’ammortamento continua a essere calcolato sul costo originario del bene di 20.000 (coefficiente 10%).
La registrazione della quota di ammortamento dell’esercizio 2019 è la seguente:
______________________________________ _________________________________
Ammortamento 2.000
Fondo ammortamento 2.000
Stato patrimoniale 31/12/2019 (dopo gli ammortamenti)
Macchinario | 20.000 | Riserva di rivalutazione (1.500-240) | 1.260 |
Fondo ammortamento | (6.500) | Debiti tributari | 240 |
Totale | 13.500 |
Nel caso specifico siccome fino al 2021 l’ammortamento rimane pari ad € 2.000,00 non andranno imputate le imposte anticipate in quanto il maggior ammortamento verrà calcolato in coda al piano di ammortamento originario essendosi allungato il periodo e dunque non vi sarà alcuna discrasia tra le norme civilistiche e quelle fiscali.
La rivalutazione del cespite e del fondo ammortamento
Una volta determinato il valore residuo del bene, ovvero la quota parte non ancora ammortizzata alla data di chiusura dell’esercizio in cui si effettua la rettifica (2019), la rivalutazione troverà un limite massimo nel cosiddetto “valore di mercato” del bene stesso[27].
In primo luogo sarà necessario determinare la rivalutazione massima operabile, calcolata come segue:
Rivalutazione massima = Valore mercato 2019 – Valore residuo Anno 2019
e successivamente un “coefficiente di adeguamento”:
Coefficiente di rivalutazione = Rivalutazione massima / Valore residuo 2018
che va applicato al costo storico ed al fondo di ammortamento.
Esempio
Si supponga che la società A abbia acquistato un cespite nel corso del 2016 e intenda ammortizzarlo con aliquota ordinaria del 20%, ridotta della metà per il primo anno. Il costo “storico” iscritto a bilancio è pari a 7.000 euro e sarà interamente ammortizzato alla fine del 2021.
Valore di sostituzione (costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia) = 13.000
Valore di mercato 2019 = 5.000
Piano di ammortamento ante rivalutazione | ||||
anno | Valore iniziale | Quota amm.to | fondo | Valore residuo |
2016 | 7.000 | 700 | 700 | 6.300 |
2017 | 6.300 | 1.400 | 2.100 | 4.900 |
2018 | 4.900 | 1.400 | 3.500 | 3.500 |
2019 | 3.500 | 1.400 | 4.900 | 2.100 |
2020 | 2.100 | 1.400 | 6.300 | 700 |
2021 | 700 | 700 | 7.000 | 0 |
Rivalutazione max consentita = Valore di mercato 2019 – Valore residuo al 31/12/2019 ante rivalutazione
5.000 – 2.100 = 2.900
Coefficiente di rivalutazione = Rivalutazione massima / Valore residuo 2018
2.900 / 3.500 = 82,86%
Individuati i valori necessari si procederà a rivalutare il costo storico dei beni:
7.000 * 0,8286 = 5.800
E il relativo fondo[28]:
3.500 * 0,8286 = 2.900
Nuovo costo rivalutato: 7.000 + 5.800 = 12.800
Nuovo fondo rivalutato: 3.500 + 2.900 = 6.400 + 1.400 (ammortamento 2019) = 7.800
Nuove quote ammortamento: 12.800 * 0,2 = 2.560
Piano di ammortamento post rivalutazione | ||||
anno | Valore iniziale | Quota amm.to | fondo | Valore residuo |
2016 | 7.000 | 700 | 700 | 6.300 |
2017 | 6.300 | 1.400 | 2.100 | 4.900 |
2018 | 4.900 | 1.400 | 3.500 | 3.500 |
2019 ante | 3.500 | 1.400 | 4.900 | 2.100 |
RIVAL. | 12.800 | 7.800 | 5.000 | |
2020 | 5.000 | 2.560 | 10.360 | 2.440 |
2021 | 2.440 | 2.440 | 12.800 | 0 |
Nello specifico la verifica del limite economico della rivalutazione consisterà nell’appurare che il nuovo valore iscritto all’attivo dello stato patrimoniale, non sia superiore al valore di sostituzione del cespite:
Costo lordo rivalutato (12.800) < valore di sostituzione (13.000)
E che il valore di mercato del 2019 sia pari a 5.000, ossia quanto il valore residuo dello stesso anno.
[1] Cfr. il comma 702 della Legge di bilancio 2020 rende applicabili per la nuova rivalutazione, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 11, 13, 14 e 15 della Legge 21 novembre 2000, n. 342, quelle del regolamento di cui al Decreto del Ministero delle Finanze 13 aprile 2001, n. 162, nonché quelle del regolamento di cui al Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 19 aprile 2002, n. 86, e dei commi 475, 477 e 478 dell’art. 1 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311
[2] Cfr. il comma 704 della Legge di bilancio 2020 che ripristina altresì la c.d. disciplina del “riallineamento” per i soggetti IAS adopter, ovvero la possibilità per le società che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di affrancare ai fini fiscali i maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 2019.
[3] Cfr. G. Gavelli e F. Giommoni – Legge di bilancio 2020 Commento alla normativa in il fisco, n. 5, 3 febbraio 2020
[4] Pertanto, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio chiuso il 31 dicembre 2019, in relazione ai beni risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre 2018. Ne deriva la necessità che i beni da rivalutare siano iscritti, senza soluzione di continuità, tra le immobilizzazioni sia nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2018 che nel bilancio al 31 dicembre 2019.
[5] Si fa presente che il prospetto può non essere bollato e vidimato in quanto dal 2001 tale obbligo è stato soppresso. Cfr. risoluzione n. 14/E del 2010
[6] L. Miele, “Nuova chance per la rivalutazione dei beni d’impresa”, ivi n. 43/2013, pag. 3384
[7] Possono essere rivalutati anche i beni inferiori a 516,46 €
[8] In particolare, l’Amministrazione finanziaria, in occasione di analoghe rivalutazioni vigenti in passato caratterizzate dalla medesima formulazione normativa, ha chiarito che per ragioni di ordine logico-sistematico l’esclusione dalla disciplina della rivalutazione riguarda tutti i beni merce, nonostante la norma si limiti a prevedere l’esclusione solo con riferimento alla categoria degli immobili merce (cfr. circolare n. 14/E/2017).
[9] Cfr. circolari n. 14/E/2017, n. 13/E/2014, n. 11/E/2009 e n. 18/E/2006.
[10] In dottrina si ritiene che la rivalutazione possa operare anche per i beni immateriali mai iscritti nell’attivo, dato che dovrebbe rilevare l’esistenza giuridica del bene piuttosto che la sua iscrizione in bilancio: così G. Odetto, “Rivalutazione anche per i beni immateriali mai iscritti in bilancio”, in Eutekne.info del 28 dicembre 2016.
[11] Cfr. art. 2, comma 3, del D.M. 13 aprile 2001, n. 162, applicabile stante il richiamo del comma 702 della Legge di bilancio 2020.
[12] Nella diversa ipotesi in cui le parti, in deroga all’art. 2561 c.c., abbiano previsto che il concedente continui a calcolare gli ammortamenti, la rivalutazione può essere effettuata solo da quest’ultimo.
[13] Cfr. F. Dezzani I TRE METODI CONTABILI DELLA RIVALUTAZIONE DEI BENI D’IMPRESA in il fisco, 5 / 2019, p. 431
[14] Cfr. l’art. 5 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162
[15] per valore di sostituzione si intende il costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia o il valore attuale del bene incrementato dei costi di ripristino della sua originaria funzionalità
[16] Cfr. circolari Agenzia delle entrate n. 14/E/2017, n. 13/E/2014, n. 11/E/2009 e n. 18/E/2006.
[17] In particolare, secondo l’Amministrazione finanziaria, nell’eventualità che alcuni beni della categoria omogenea siano illegittimamente esclusi dalla rivalutazione, gli effetti fiscali della stessa rivalutazione vengono meno per tutti gli altri beni appartenenti alla medesima categoria omogenea. Il contribuente potrà tuttavia impedire la caducazione degli effetti della rivalutazione sui beni rimanenti qualora, anche in sede di accertamento, provveda al versamento dell’imposta sostitutiva non versata con riferimento al bene illegittimamente escluso, maggiorata di sanzioni ed interessi previsti per legge (cfr. circolare n. 14/E/2017).
[18] Il saldo attivo è iscritto in bilancio in contropartita della rivalutazione per un importo corrispondente al maggior valore dei beni al netto dell’imposta sostitutiva (cfr. D.M. 13 aprile 2001, n. 162).
[19] Nonostante l’assenza di alcun riferimento normativo, secondo parte della dottrina i predetti vincoli civilistici devono ritenersi applicabili anche alle società di persone, ancorché queste siano prive dell’organo assembleare. In tal caso il riferimento dovrebbe essere l’art. 2306 c.c., il quale stabilisce che la deliberazione di riduzione del capitale sociale delle società di persone può essere eseguita solo dopo tre mesi dalla sua iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
[20] Secondo Assonime – circ. n. 34/1991 – l’assoggettamento del saldo in questione alle stesse regole di salvaguardia del capitale sociale trova giustificazione nell’esigenza avvertita dal legislatore di vincolare tale incremento patrimoniale al rafforzamento dell’impresa.
[21] Si fa presente che le istruzioni relative alle pratiche di iscrizione al Registro imprese sembrano imporre il verbale notarile, e, quindi, l’assemblea straordinaria.
[22] Ad esempio, per i contribuenti “solari”, che quindi eseguono la rivalutazione nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2019, il pagamento della prima rata dell’imposta sostitutiva va effettuato entro il 30 giugno 2020. Detto versamento può essere effettuato entro il trentesimo giorno successivo al predetto termine con la maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse, così come previsto dall’art. 17 del D.P.R. n. 435/2001.
[23] Si veda il documento del CNDCEC intitolato “Crisi d’impresa – Gli indici dell’allerta”, pubblicato il 20 ottobre 2019.
[24] A tale riguardo, ancorché non richiesto dalla legge, è consigliabile commissionare ad un esperto una perizia di stima a supporto della rivalutazione.
[25] Si vedano i principi contabili OIC 11 e OIC 5.
[26] Si imputa il 24% (aliquota IRES) sulla quota di ammortamento indeducibile
[27] Ossia nel valore economico realizzabile in ipotesi di dismissione del cespite determinato tenendo conto dei prezzi correnti e delle quotazioni di borsa, o del maggior valore che può essere fondatamente attribuito in base alla valutazione della capacità produttiva e della possibilità di utilizzazione economica nell’impresa.
[28] Fondo al 31/12/2019 prima della scritturazione dell’ammortamento dell’anno che sarà eseguito sul valore del cespite ante-rivalutazione (7.000,00)
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