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Il 2023 segna il centenario della riforma scolastica di Giovanni Gentile

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Il 30 settembre 1923 entrò in vigore la riforma dell’istruzione e dell’università nota come riforma Gentile.

Prese le mosse dalla legge delega del 3 dicembre 1922 e fu scaglionata nell’arco di dieci mesi modellando il percorso formativo di intere generazioni di scolari italiani ben oltre la scomparsa del filosofo di Castelvetrano.

A cento anni dall’avvio della “più fascista delle riforme” – come la definì Benito Mussolini – è giunto il momento di riflettere sulla contraddittoria figura di Giovanni Gentile e sul suo notevole contributo alla storia dell’educazione italiana valutando, in modo critico, il suo impatto sulla pedagogia e sulla società italiana nel suo complesso.

Nella pedagogia gentiliana è di fondamentale importanza il rapporto maestro-allievo fondato sul considerare il maestro come l’Io ideale a cui tendere.

Il 2023 segnerà il centenario della riforma scolastica di Giovanni Gentile, che ha avuto un impatto significativo sull’educazione in Italia durante il periodo fascista.

Ancora oggi la figura di Gentile e la sua riforma scolastica sono oggetto di controversia tra studiosi e pedagogisti secondo i quali la sua riforma ha avuto un impatto negativo sull’educazione in Italia, limitando la creatività e il pensiero critico degli studenti.

Giovanni Gentile fu – con Benedetto Croce – tra i massimi esponenti del neoidealismo filosofico nonché uno dei protagonisti della cultura italiana nella prima metà del XX secolo. Cofondatore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e artefice – su incarico del capo del Governo Benito Mussolini – della riforma della scuola che porta il suo nome.

In qualità di Ministro della Pubblica istruzione il filosofo elaborò una riforma dei programmi scolastici destinata a far parlare di sé per molto tempo a venire poiché applicando i principi dell’idealismo critico alla pedagogia e ispirandosi alla tradizione liberale creò una scuola idealista “volta a formare individui capaci di sviluppare il loro potenziale creativo e morale”.

Il maestro stabilisce un rapporto pedagogicamente profondo con il proprio alunno realizzando una sintesi a priori dell’attività educativa.

Sulla base di tale concetto gli allievi devono seguire l’autorità del maestro poiché obbedendo ai suoi insegnamenti lo scolaro obbedisce alla parte migliore di sé stesso, “a quell’Io ideale che l’insegnante incarna e che il discepolo cerca di diventare attraverso il rapporto educativo”.

Pertanto la pedagogia gentiliana si caratterizza come una pedagogia selettiva ed autoritaria, che si affermò grazie all’appoggio del regime fascista e all’influenza di Giuseppe Lombardo-Radice.

Tra le modifiche più importanti della riforma Gentile punti salienti furono l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino a quattordici anni di età; insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole elementari in quanto “fondamento e coronamento” dell’istruzione primaria.

Nel 1929, dopo la firma dei Patti Lateranensi, l’insegnamento della religione cattolica fu estesa anche ai licei; vi fu la creazione dell’istituto magistrale per la formazione dei futuri insegnanti elementari e l’istituzione di scuole speciali per gli alunni portatori di handicap.

Dopo le elementari chi non voleva proseguire gli studi poteva iscriversi alle scuole di avviamento al lavoro, mentre chi decideva di continuare gli studi poteva iscriversi alle scuole medie inferiori (i cosiddetti “ginnasietti” ndr).

Egli riuscì dove aveva fallito Benedetto Croce, suo predecessore, ovvero “improntare l’architettura normativa della nostra scuola, a lungo dominata dall’egemonia culturale positivistica, ai principi del neoidealismo”.

L’obiettivo principale della riforma era quello di formare cittadini devoti allo Stato: per raggiungere tale scopo egli pose l’accento sullo studio della storia e della cultura italiana.

Questa riforma fu la perfetta rappresentazione di un modello di scuola elitaria, tradizionalista e classista, la cui architettura, sopravvissuta alla caduta del fascismo, rimase sostanzialmente invariata fino alla riforma della scuola media unica del 1962, che contrassegnò il primo centro-sinistra con l’ingresso dei socialisti nel governo.

La scuola, secondo Gentile, non doveva impartire conoscenze tecniche, ma doveva sviluppare le capacità intellettuali e morali dei giovani destinati a diventare i futuri leader della nazione.

Per questa ragione la scuola doveva essere aperta solo a coloro realmente desiderosi di apprendere ed è proprio per questa ragione che la riforma Gentile, paradossalmente, non fu gradita a buona parte della classe dirigente fascista.

Nel 1925, infatti, Pietro Fedele e Cesare Maria De Vecchi avviarono un’opera di fascistizzazione della scuola nota come “politica dei ritocchi”: ritocchi che, almeno in parte, snaturarono l’edificio gentiliano abolendo, per esempio, l’obbligo per i maturandi di portare all’esame di stato i programmi di tutto il triennio.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale la pedagogia gentiliana a causa della sua adesione ai principi del nazional-socialismo è stata al centro di un ampio dibattito per sviluppare un nuovo modello educativo, più democratico e al servizio degli studenti.

Rimase in vigore, nelle sue linee essenziali, ben oltre la nascita della Repubblica, ovvero fino a quando il Parlamento italiano, con la legge n. 1859 del 31 dicembre 1962, abolì la scuola di avviamento professionale creando la cosiddetta scuola media unificata.

Pur ammettendo i limiti e le mancanze della pedagogia gentiliana, tra cui il poco spazio dedicato alle discipline scientifiche, non si può negare che tale approccio metodologico abbia dimostrato un’ampia rispondenza alle necessità formative del Paese che può vantare ben quattro premi Nobel  – tutti formatisi nell’ambito della riforma scolastica e universitaria fascista –  di cui tre per la medicina e l’ultimo nella chimica, ovvero: Rita Levi Montalcini (1909-2012), Salvatore Luria (1912-1991), Renato Dulbecco (1914-2012), Giulio Natta (1903-1979).

Tuttavia l’anniversario della riforma Gentile non si deve intendere “come esaltazione di un modello educativo maturato un secolo fa” ma come spunto di riflessione per la situazione odierna del Paese alla luce delle costanti facilitazioni dei percorsi educativi.

Ripartire dall’educazione sarebbe essenziale per aiutare il Paese a crescere economicamente anche se come scrive il prof. Koeno Gravemeijer della Eindhoven University of Technology: “nell’educazione ogni cosa succede cinquant’anni più tardi.

Proprio per questo motivo sarebbe fondamentale “vigilare sull’efficace utilizzo dei fondi del Pnrr, per avviare percorsi davvero innovativi e strutturali sulla povertà educativa e sulle differenze territoriali del nostro Paese”.

Roberta Fameli
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