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Il compenso ai legali della procedura nella liquidazione giudiziale

Dottore Commercialista
Revisore Legale dei conti
Docente e formatore Crisi d’impresa

Il tema della liquidazione dei compensi agli ausiliari della procedura, in particolare dei legali officiati nei giudizi, pone una duplice tematica fatta oggetto di dovuta attenzione e di conseguente risoluzione dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civile n° 27586 del 29/09/2023).

La questione che è giunta al vaglio della Cassazione rileva sotto due differenti profili e fornisce adeguata risposta al quesito che interessa la sorte della quantificazione del compenso in ipotesi di maggiore liquidazione del giudice della causa, rispetto a quella operata dal Giudice Delegato e dell’invocata prededucibilità del credito del professionista per gli onorari maturati ante fallimento (oggi liquidazione giudiziale) nelle ipotesi di prosecuzione del giudizio da parte del Curatore.

In ordine al primo aspetto gli Ermellini, partendo dal principio, indiscusso, che la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione contenuta nel provvedimento che condanna l’altra parte al pagamento delle spese e degli onorari di causa, giungono alla preliminare conclusione che il passaggio in giudicato della sentenza che dispone anche sulle spese ha il solo effetto di cristallizzare il valore della causa trattata, che costituisce base su cui fondare la quantificazione del dovuto tenendo conto del pregio dell’opera prestata e del risultato ottenuto dal professionista.

Sicché l’attenzione della pronuncia si sposta sulla necessità di definire la sorte della differenza tra le due liquidazioni, nelle ipotesi in cui la statuizione del giudice della causa sia più generosa di quella del giudice delegato, e per essa viene definito il seguente principio di diritto: “In tema di fallimento, qualora il giudice della causa in cui si sia costituita la procedura liquidi a titolo di spese legali un importo maggiore rispetto a quello liquidato dal giudice delegato su istanza del difensore e la pronuncia diventi cosa giudicata, il passaggio in giudicato determina la definitività del solo parametro di determinazione del valore della causa trattata e non già della quantificazione delle somme operata, ma il difensore, in sede di reclamo contro il decreto di liquidazione ex art. 26 l.fall., ha diritto di pretendere la differenza a titolo d’ingiustificato arricchimento della massa, che gli è riconosciuta con pronuncia i cui effetti sono sospensivamente condizionati all’effettivo incameramento della somma corrispondente da parte del curatore, se non già avvenuto”.

Ciò sul presupposto che non occorre la prova di ricezione dei maggiori importi da parte della massa, spontaneamente o all’esito di azioni esecutive, posto che, altrimenti, si ancorerebbe il diritto del professionista di pretendere la differenza in più alla circostanza, di cui il curatore non è neppure tenuto a dargli comunicazione, che quella somma sia stata, o meno, versata dalla controparte, anche spontaneamente, così vulnerando il suo diritto di azione e di difesa, stante i ristretti termini per la proposizione del reclamo ex art. 26 l.fall. E tale equilibrio può essere salvaguardato dalla condizione sospensiva dell’effettivo incameramento della somma da parte del curatore.

Ciò posto, resta da definire la seconda delle questioni agitate, ovvero se il legale, qualora confermato, possa vantare il diritto alla prededuzione anche per gli onorari maturati nella fase antecedente, sul presupposto che la procedura si sia giovata dell’attività già svolta. Il tenore letterale dell’art. 25 L.fall, oggi trasfuso nell’art. 123 CCII, disattende tale impostazione posto che è il giudice delegato che “su proposta del curatore, liquida i compensi…. alle persone la cui opera è stata richiesta dal medesimo curatore nell’interesse della procedura”, il che esclude che la liquidazione possa riferirsi ad un incarico conferito dal debitore allora in bonis.

Lo scioglimento del mandato, già previsto all’art. art. 43, comma 1, l.fall., ora ripreso all’art. 143 CCII, determina, infatti, sia la perdita della legittimazione processuale in tutte le controversie non aventi natura personale, sia anche l’automatica interruzione dei processi. La cesura che si determina, dunque, tra l’attività svolta in esecuzione dell’incarico conferito dal cliente allora in bonis e quella compiuta in esecuzione dell’incarico conferito dal curatore, l’unico remunerato con la liquidazione compiuta dal giudice delegato, porta come conseguenza l’impossibilità di attribuire al compenso ante nomina il beneficio della prededuzione.

Né può valere la circostanza, pure oggetto di contestazione, che la prededucibiltà possa conseguire dal collegamento “strumentale” tra l’attività difensiva svolta antecedentemente, della quale si sia valso il medesimo difensore nella prosecuzione del giudizio, e quella svolta dopo l’incarico conferito dalla procedura. In tal senso è la stessa richiamata cesura tra i due momenti che esclude la ricorrenza del parametro dell’occasionalità e della funzionalità. Di più, ricorda il provvedimento in commento “la precedenza processuale del credito, in cui si risolve la prededucibilità, richiede la strumentalità, appunto ex ante, e non già ex post, dell’attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, al fine di renderla più efficiente”.

Tommaso Nigro
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