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Duecentomila persone per assistere alla “Notte della Taranta” ricordando i tarantolati

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Notte Della Taranta

La Notte della Taranta è uno degli appuntamenti musicali più attesi dell’estate italiana. Quest’anno si svolgerà la ventesima edizione e sono attese all’incirca duecentomila persone che per una notte si immergeranno nel folklore, nella musica e nelle tradizioni millenarie del territorio salentino.

Il festival che ha inizio a Corigliano d’Otranto e termina a Melpignano, dal 1998, anno della sua nascita, mescola la musica tradizionale locale con gli altri generi.

Ideato e organizzato dall’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina e dall’Istituto Diego Carpitella è una manifestazione che negli ultimi anni è straordinariamente cresciuta nelle dimensioni, nell’affluenza e nel prestigio. Il festival vive il suo momento culminante nel Concertone finale caratterizzato dalla presenza di un Maestro Concertatore che deve reinterpretare i brani classici della tradizione popolare insieme a musicisti locali e altrettanti ospiti internazionali.

La storia della Taranta è molto interessante ed affonda le sue radici in un fenomeno noto anche ai greci che si davano una spiegazione ricorrendo al mito di Aracne e alla sua vicenda con la dea Atena. Tuttavia la genesi di questo antichissimo rito è tutt’ora sconosciuta: le prime testimonianze scritte risalgono ad alcuni trattati medici scritti tra il IX e XIV secolo nei quali si parla di esorcismo musicale attribuendo ad un certo tipo di musica il valore di antidoto al veleno della tarantola.

Il documento più antico è il Sertum papale de Venenis (1362) nel quale si afferma “coloro che sono morsi dalla tarantula traggono massimo diletto da questa o quella musica”.

A quell’epoca il tarantismo era un fenomeno diffuso in tutta l’Italia meridionale (si pensi alla famosa tarantella napoletana, n.d.r.) specialmente tra le donne ed è proprio per questo motivo che molti medici abbiano indagato le cause di tale disturbo.

Era opinione comune che alcuni ragni, tra cui il Latrodectus tredecimguttatus o la Lycosa tarantula potessero provocare contrazioni e spasmi muscolari, mentre si riteneva che fossero le donne le più colpite perché durante l’estate erano molto numerose nel lavoro nei campi.

Dopo la puntura dell’insetto la/il malcapitato veniva colto da forti dolori addominali, palpitazioni e addirittura da uno stato di catalessi: la medicina tradizionale poco o nulla poteva contro siffatta sintomatologia ed allora l’unico modo con cui si riteneva di poter curare il malato era imporgli di ballare freneticamente al suono ossessivo di un tamburello, fino a quando non si accasciava a terra privo di forze liberando il corpo dal veleno del ragno.

I suonatori rappresentano ancora oggi gli esorcisti dal cui intervento dipendeva il successo del rito e quindi della guarigione.

Il rito che “si svolgeva nell’abitazione dei tarantolati, nei vicoli ciechi dei paesi o nelle aie delle case rurali dove i pizzicati entravano in uno stato di incoscienza e ballavano per ore ed ore”. Dal XVII secolo il cosiddetto tarantismo cominciò ad essere associato ai disturbi mentali perlopiù epilessia o isteria.

Francesco Serao, medico dell’epoca, affermò che “la causa del tarantismo non è da ricercarsi nella tarantola ma nei pugliesi”. La tradizione popolare cristiana vuole che San Paolo, sopravvissuto al veleno di un serpente nell’isola di Malta e da sempre raffigurato iconograficamente insieme ad un ragno, sia il protettore dei “pizzicati”.

Il tarantismo, dunque, come si può ben vedere, è stato oggetto di approfondite ricerche antropologiche che potessero spiegare le origini di quel famoso ballo salentino, a tutti noto come pizzica che si vuole ballato persino da Ferdinando IV di Borbone, in visita nella città di Taranto.

Ernesto De Martino, antropologo, è colui che a tale argomento ha fornito il contributo più grande attraverso i suoi studi sul folklore magico nelle terre del Sud che ebbero successo in tutto il mondo.

Lo studioso affermò che “l’isterismo dei tarantolati ha un significato puramente simbolico, sintomo dei disagi psichici interiori maturati nel corso della vita dagli abitanti di quella che lui stesso ha chiamato la terra del rimorso”.

Il morso del ragno, quindi, è il simbolo di una frustrazione psichica dovuta a problemi economici, sociali o sessuali che nella cura terapeutica della musica trova una soluzione semplice e coinvolgente per risolvere problemi che ben poco avevano a che fare con l’avvelenamento del ragno.

Il rito per guarire dal tarantismo è stato filmato dalla squadra di E. De Martino diretta dal regista Gianfranco Mingozzi.

Si trattava di un vero e proprio esorcismo casalingo che aveva luogo il 28 giugno quando le tarantate ciascuna delle quali potevano scegliere di indossare, legandolo in vita, un fazzoletto di colore rosso, verde o blu per richiamare il colore dell’insetto che le aveva punte, erano riunite al buio in una stanza e venivano invitate a sdraiarsi su lenzuola appositamente predisposte sul pavimento.

A questo punto la tarantata iniziava a dimenarsi nello spazio del lenzuolo al ritmo della musica, perlopiù di violino, fisarmonica o tamburello, tipici della zona, che sentiva più adatta per eliminare il suo malessere reale o simbolico.

Accanto ai musicisti c’erano un cestino per le offerte e le immagini di San Paolo, a cui ci si rivolgeva per chiedere quale potesse essere la cura contro il veleno.

Il 29 giugno, giorno in cui ricorre la festività di San Pietro e Paolo, molte donne malate giungevano in pellegrinaggio presso la cappella di San Paolo a Galatina dove, dopo aver bevuto dal pozzo un’acqua destinata a far scomparire i sintomi, si assisteva a scene di delirio funzionali al rito della guarigione. Al termine dell’esorcismo si festeggiava a ritmo della musica.

Ad ogni modo al di là di quali potessero essere le vere cause che spingevano le donne salentine verso il tarantismo, possiamo ben dire che esse hanno contribuito a tramandarci una danza meravigliosa che, con il suo ritmo travolgente, continua ad esaltare gli spettatori sui quali producono tutt’ora un effetto purificante e liberatorio.

Roberta Fameli
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