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La nuova disciplina dei Contratti della Pubblica Amministrazione

Dottore Commercialista - Revisore legale dei conti

Contratti PA

La materia dei contratti pubblici, cioè dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni centrali e periferiche e dagli enti pubblici economici e non, tra i quali prevalgono, numericamente e per importanza, gli appalti di opere, servizi e forniture, è attualmente disciplinata dal decreto legislativo  18 aprile 2016 n. 50, comunemente definito  codice dei contratti pubblici.

Questo testo normativo, estremamente dettagliato in ben 251 articoli di notevole complessità strutturale ed in alcuni allegati, è destinato a cessare la sua efficacia dal 01 aprile 2023 per i contratti di nuova stipulazione e dal 01 luglio 2023 per tutte le procedure contrattuali non ancora concluse, avendo la legislazione successiva efficacia retroattiva.

Esso sarà sostituito da un altro decreto legislativo, approvato dal Governo in data 16 dicembre 2022 in attuazione della legge delega 21 giugno 2022 n 78,  di riforma dell’intera materia e di adeguamento del dettato normativo interno a quello europeo di riferimento, ma, alla data di redazione di questo articolo (04 febbraio 2023), non ancora pubblicato sulla gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

Pertanto sono possibili al momento solo alcune anticipazioni di quelli che saranno l’impianto e il contenuto del decreto delegato e dei principi ispiratori della legge delega ai quali esso si dovrà conformare.

Volendo esemplificare in modo estremamente schematico, si possono individuare le seguenti direttive e i corrispondenti obiettivi della citata riforma.

Emerge in primo luogo la finalità di una complessiva  riduzione dei tempi di espletamento delle procedure di gara, incentivando e rafforzando l’utilizzo della  digitalizzazione e dell’informatizzazione ed il maggior ricorso a quelle forme di stipulazione dei contratti peraltro già conosciute dalla legislazione previgente come il dialogo competitivo, il partenariato e la procedura negoziata.

In particolare il dialogo competitivo è già previsto dall’art. 64 del D. L.vo n 50 del 2016 e in quel caso l’appalto e’ aggiudicato unicamente sulla base  del  miglior  rapporto  qualita’/prezzo. Qualsiasi  operatore  economico  puo’ chiedere di partecipare alla gara fornendo, entro 30 giorni dalla sua indizione, le informazioni richieste dalla stazione appaltante. Soltanto  gli operatori economici invitati dalle  stazioni  appaltanti  in  seguito alla valutazione delle informazioni fornite  possono  partecipare  al dialogo finalizzato all’individuazione e alla definizione  dei  mezzi piu’ idonei a  soddisfare  le  necessita’ publiche. Dopo aver dichiarato concluso il dialogo  le stazioni appaltanti  invitano  ciascuno dei partecipanti a presentare la propria offerta. Quindi le offerte seguono il dialogo.

Il partenariato invece è già previsto dall’art. 65 del citato decreto n 50 del 2016 e ad esso si ricorre quando è indispensabile usufruire di un’innovazione cioè nelle ipotesi  in cui le esigenze pubbliche non possono  essere soddisfatte ricorrendo a soluzioni gia’ disponibili  sul  mercato.  Infine la procedura negoziata è parimenti conosciuta dal più volte citato decreto n 50 del 2016 all’art. 62.

L’esigenza di una complessiva riduzione dei tempi viene soddisfatta, nella riforma, anche dalla previsione di meccanismi sanzionatori e premiali  e da metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale.

Altre finalità della riforma degne di menzione sono una più incisiva garanzia della sicurezza sul lavoro al fine di eliminare o quanto meno ridurre il triste fenomeno degli incidenti anche mortali e il contrasto al lavoro irregolare con evasione contributiva e fiscale. Il legislatore delegante mira poi anche a favorire la partecipazione alla gara da parte delle piccole o micro imprese e rafforza significativamente le funzioni dell’Anac (Agenzia nazionale anti corruzione), che già aveva nella legislazione previgente un ruolo di assoluta importanza non solo sotto il profilo dei controlli e della vigilanza (art. 213 D. L.vo n 50 del 2016) ma anche per la definizione bonaria della controversie, essendo istituita presso l’Anac la camera arbitrale (art. 210) ed altresì perché è conservato presso l’Anac l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici che operano  mediante  affidamenti  diretti  nei  confronti  di   proprie societa’ in house (art. 192).

Un taglio della riforma moderno ed adeguato ai tempi riguarda l’introduzione di incentivi volti alla realizzazione di investimenti in tecnologie verdi e digitali ed un ampliamento dei confini dell’appalto integrato.

Quest’ultimo istituto, consistente nell’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori, nel D.lgs. n. 50 del 2016, all’art. 59, soffriva  un generalizzato divieto fatta eccezione per i casi di affidamento a contraente generale (general contractor) previsti dall’art. 194 di regola per opere di particolare complessità, nei quali casi  l’ente aggiudicatore affida ad un soggetto  dotato  di  adeguata capacita’    tecnico-realizzativa  e   finanziaria   la realizzazione  dell’opera,   a fronte di un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l’ultimazione dei lavori per cui il general contractor si occupa della progettazione, dell’acquisizione di aree quindi anche dell’eventuale espropriazione, del finanziamento e dell’esecuzione delle opere.

Particolarmente interessante, per i suoi risvolti disciplinari e anche attinenti alla responsabilità civile del dipendente nei confronti della pubblica amministrazione, è il principio secondo il quale  non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti. In questo modo si cerca di liberare i dipendenti dalla cosiddetta “paura della firma” in parallelo a come è stato modificato l’art. 323 c.p. in materia di abuso in atti di ufficio in forza del “decreto semplificazioni” cioè del  decreto legge 16 luglio 2020  convertito nella legge 11 settembre 2020 n. 120 art. 23, circoscrivendone il suo ambito di applicazione con la nuova previsione secondo la quale “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.

Pertanto non vengono più sanzionati sul piano penale comportamenti in trasgressione di misure regolamentari ma solo di specifiche regole di condotta previste da leggi o da atti aventi forza di legge e sempre che le regole di condotta violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.

In forza della nuova normativa, la Corte di Cassazione, sez. VI penale, con sentenza n. 14214 del 15 aprile 2021  ha stabilito che “gli atti amministrativi connotati da un margine di discrezionalità tecnica sono esclusi dalla sfera del penalmente rilevante” poiché “nella discrezionalità tecnica la scelta della Amministrazione si compie, infatti, attraverso un complesso giudizio valutativo condotto alla stregua di regole tecniche. Il caso classico è proprio quello dei giudizi delle commissioni sul merito della produzione scientifica di un candidato. L’incoerenza del giudizio valutativo rispetto alla regola tecnica che lo sorregge non è più suscettibile di integrare la fattispecie tipica, a meno che la regola tecnica non sia trasfusa in una regola di comportamento specifica e rigida, di fonte primaria (cioè leggi o atti aventi forza di legge); ma anche in tal caso permane l’insindacabilità del nucleo valutativo del giudizio tecnico”. 

Infine, ma sempre dal punto di vista giurisdizionale, questa volta amministrativo, la riforma  prevede che il giudice amministrativo conosca anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo laddove invece la regola è che le azioni risarcitorie, sia nei confronti della p.A., sia promosse da quest’ultima, si devono proporre davanti al giudice ordinario mentre il giudice amministrativo conosce della legittimità degli atti con possibilità di annullamento.

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