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La scoperta del Dna permette nuovi filoni di ricerca

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Dna

Uno degli eventi più importanti nella storia della biologia e dell’umanità è la scoperta della struttura ad “elica” dell’acido desossiribonucleico, meglio conosciuto come DNA.

Era il 28 febbraio 1953 quando Francis Crick annunciò con una certa enfasi – in un vecchio pub chiamato The Eagle a Cambridge “We have discovered the secret of life!” (“Abbiamo scoperto il segreto della vita” N.d.R.).

Con questa scoperta epocale, che aveva occupato le notti e le menti degli scienziati per ottantaquattro anni dalla scoperta del DNA nel 1869, James Watson e Francis Crick, nel 1962, vinsero il premio Nobel.

La scoperta, divulgata attraverso la pubblicazione di un articolo sulla rivista Nature, apriva la strada alla comprensione del funzionamento della molecola di acido desossiribonucleico e della trasmissione ereditaria dei caratteri genetici, punto di partenza per sviluppare tecniche di manipolazione utilizzate in diversi campi del sapere, dalla ricerca medica all’agricoltura.

Fin dall’antichità l’uomo ha indagato sulle proprie origini e il mondo che lo circonda, ma fu solo nel 1944 che Friedrich Miescher – biologo svizzero – isolò gli acidi nucleici presenti nel nucleo delle cellule di tutti gli esseri viventi ed eucarioti, condensato nei cromosomi.

Quando venne individuata la struttura del DNA la sua importanza non era ancora del tutto chiara alla comunità scientifica; occorreva comprendere in che modo l’organismo, partendo dalla semplice alternanza di quattro molecole base, riuscisse a decodificare le informazioni per sintetizzare le proteine necessarie al nostro corpo.

Queste sequenze sono molto antiche ed hanno subito diverse mutazioni perdendo la loro funzione originaria, necessaria alla moltiplicazione dei virus. Proprio questa caratteristica potrebbe essere responsabile della maggior predisposizione di alcuni soggetti a certi tumori. Ciascuno dei nostri genitori biologici ce ne fornisce metà determinando in questo modo l’ereditarietà di molti caratteri.

Oggi le nostre conoscenze sulla struttura del Dna umano sono aumentate: gli studi di genetica, per esempio, hanno messo in luce aspetti inattesi nella struttura e nel funzionamento di questa molecola svelando panorami e possibilità tutte da esplorare.

Ciò che sappiamo con certezza è che una parte del nostro DNA è di origine virale e che le sue sequenze entrano a far parte dell’asse ereditario di ogni individuo.

La vicenda nascosta dietro la scoperta, più importante del secolo, è il frutto di una sfida tra intelletti eccelsi ma rivali.

I protagonisti furono James Watson, biologo, e Francis Crick, fisico: avevano rispettivamente 23 e 35 anni. Entrambi lavoravano presso il dipartimento di fisica dell’Università di Cambridge, il Cavendish Laboratory e, sebbene fossero pagati per fare ricerche sull’emoglobina e la mioglobina, avevano deciso di indagare i segreti del DNA.

L’altro scopritore ufficiale della struttura a elica è considerato Maurice Wilkins, anch’egli ricercatore del King’s College di Londra. L’anello di congiunzione tra questi giovani era rappresentato dal lavoro di Rosalind Franklin, giovane scienziata ebrea che con grande determinazione, nonostante l’opposizione del padre noto banchiere ebreo, si opponesse alla sua formazione.

Chimica e cristallografa dopo aver conseguito un dottorato a Cambridge andò a Parigi per ampliare la sua conoscenza sulla diffrazione a raggi X.

Nel 1951 entrò a far parte del team di Wilkins ma il loro rapporto fu tutt’altro che idilliaco, e terminò rapidamente lasciando lo scienziato in possesso di una preziosa immagine denominata fotografia 51 nella quale si rivela la famosa struttura ad “elica” costituita da due lunghi filamenti di molecole, i nucleotidi, avvolti a spirale.

Purtroppo il grande apporto della Franklin non fu mai riconosciuto.

In seguito Wilkins, Watson e Crick realizzarono un modello tridimensionale dell’elica in fil di ferro e cartone, partendo da un bozzetto della moglie di Crick, la pittrice Odile Speed. La struttura da loro individuata fu chiamata forma B del DNA ed è considerata “la forma più stabile in condizioni fisiologiche”.

Da quel momento in poi la storia è nota: James Watson e Francis Crick, nel 1953 pubblicarono sulla rivista Nature il primo articolo sulla struttura a doppia elica del DNA precedendo Wilkins e la stessa Franklin che, ingannata e delusa, dopo la pubblicazione dei risultati di Watson e Crick abbandonò il King’s college, ma non il lavoro di ricerca.

Concentrò i suoi sforzi nell’ambito della virologia lavorando al Brickbeck college apportando contributi decisivi agli studi sulla struttura molecolare della polio. Basti pensare che le sue scoperte sono ancora tenute in considerazione per le ricerche attuali.

Nel 1956   forse a causa della sovraesposizione alle radiazioni, con le quali aveva lavorato per tutta la vita, Franklin si ammalò di tumore alle ovaie: finché le fu possibile continuò a lavorare, ma dopo vari interventi e un trattamento ancora sperimentale di chemioterapia, morì il 16 aprile 1958.

Nel corso degli anni gli studi sono progrediti in maniera esponenziale: siamo partiti dalla doppia elica per arrivare a conoscere struttura e funzionamento di quasi ogni singolo elemento del DNA.

L’ingegneria genetica ci permette di manipolare il DNA modificando i geni e, quindi, gli organismi viventi (OGM).

Qualcosa di cui si parlava già negli anni Sessanta e che ha portato nel tempo ai successi della terapia genica e alla produzione di farmaci biologici per curare malattie un tempo mortali.

Attualmente si conducono studi finalizzati a conoscere l’intero genoma di organismi che potrebbero essere interessanti, come il Progetto Genoma Umano.

La strada dunque è ancora lunga e il suo termine ancora lontano.

Roberta Fameli
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