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Compensi agli Amministratori

Dottore Commercialista, Revisore Legale e Mediatore Professionista.
Giornalista pubblicista.
Oltre all’attività “ordinaria” contabile e fiscale e di controllo di gestione, è specializzato in Consulenza su Operazioni di riorganizzazione e risanamento societario e di Tutela e protezione dei patrimoni personali. Inoltre è specializzato nella Difesa del contribuente durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
E-mail: luca.santi@studiosanti.it

Compansi Amministratori

Gli amministratori che prestano la propria opera all’interno della società hanno diritto a ricevere un compenso per l’attività prestata, il cui ammontare e la cui corresponsione deve essere stabilita all’atto della nomina, ovvero attraverso delibera dell’assemblea dei soci.

La normativa civilistica individua negli art. 2364, e 2389 del C.C. le norme atte a regolamentare i compensi degli amministratori delle società per azioni, norme applicabili per rinvio alle società di capitali.

L’art. 2364 del C.C., che determina i poteri dell’assemblea ordinaria, stabilisce al punto 3 del comma 1 che la stessa ha il compito di determinare i compensi degli amministratori se non è stabiliti dallo statuto. Ciò significa che la previsione e la determinazione dei compensi in oggetto è demandata all’autonomia statutaria di ogni società; gli stessi quando non determinati dallo statuto, devono essere stabiliti attraverso esplicita delibera assembleare.

Il successivo art. 2389 C.C. prevede che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo siano stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea dei soci.

I compensi possono essere costituiti, in tutto o in parte, da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.

Nel caso in cui si sia in presenza di amministratori investiti di particolari cariche il loro compenso può essere stabilito dal Consiglio di Amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.

Se lo STATUTO lo prevede, l’assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

Pertanto, secondo la normativa civilistica, i compensi erogati agli amministratori devono essere espressamente deliberati dall’assemblea dei soci; ciò è quanto ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21933 del 2008, ritenendo che detti compensi non trovano alcuna legittimità quando derivanti da un’implicita decisione dei soci, ad esempio in occasione dell’approvazione del bilancio. A tale analoga conclusione è giunta la stessa Suprema Corte con la sentenza n. 17673 del 2013.

Infine, in mancanza di una previsione statutaria, ovvero in mancanza di una delibera assembleare, i compensi possono essere stabiliti dall’autorità giudiziale. In questo caso è data facoltà all’amministratore, quando i compensi non sono preventivamente determinati, di richiederne la liquidazione giudiziale; l’amministratore può rivolgersi al tribunale anche per ottenere un adeguamento del compenso quando questo è ritenuto non equo relativamente i compiti svolti, ovvero la crescente complessità degli stessi.

Dal punto di vista fiscale, secondo quanto previsto dall’art. 50 TUIR, lettera c-bis, i compensi erogati all’amministratore costituiscono redditi assimilati al quelli di lavoro dipendente. In particolare la normativa prevede che sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’art. 49, co. 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’art. 53, co. 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente.”

Data l’assimilazione del compenso all’amministratore a quello di lavoratore dipendente ne consegue che relativamente alla deducibilità dei compensi in esame, trovino applicazione le norme dettate dall’art. 95 TUIR.

In particolare, il co. 5, prevede la deducibilità dei compensi erogati secondo il principio di cassa e non quello di competenza, perché la società possa dedurre il compenso spettante all’amministratore è necessario che lo stesso sia effettivamente stato pagato nel corso dell’esercizio.

Vale, in particolare, il cd. principio di cassa allargata, inizialmente previsto con la C.M. n. 57/E/2001, in base a tale principio la società erogante può dedurre i compensi quando gli stessi risultino effettivamente versati entro il giorno 12 del mese di gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento, questo perché i compensi percepiti dal lavoratore/amministratore entro il 12 gennaio concorrono alla formazione del suo reddito nel periodo d’imposta precedente, art. 51 comma 1 TUIR.

Dal disposto del co. 5 art. 95 TUIR, risultano deducibili secondo il principio di cassa allargata i soli compensi erogati agli amministratori, non anche i contributi previdenziali a carico della società.

Infine, anche in termini di deducibilità dei compensi pagati agli amministratori, condizione necessaria è la presenza di una delibera dell’assemblea ordinaria dei soci che ne determini la sussistenza e l’ammontare. Di fatto, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20265 del 2013 ha ritenuto indeducibili per la società i compensi erogati in assenza di una specifica delibera assembleare, richiamando quanto già deciso dalla Suprema Corte con la sentenza 21993 del 2008.

Luca Santi
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