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L’autoriciclaggio

L’autoriciclaggio si verifica quando l’autore di un delitto non colposo utilizza i proventi di quel reato per nascondere la loro origine illecita, come ad esempio acquistando un immobile e intestandolo ad altro soggetto, oppure investendo il denaro di provenienza illecita nella propria attività. In tale fattispecie il problema della consapevolezza della provenienza illecita dei profitti è risolto ab origine essendo l’autore dell’autoriciclaggio anche autore del delitto presupposto, inteso quale delitto principale. Poiché il reimpiego dei proventi di attività delittuose è un comportamento naturale da parte dell’autore del reato, il legislatore, al fine di evitare un eccessivo trattamento sanzionatorio, ha circoscritto la punibilità del reimpiego di denaro, beni ed altre utilità ai soli casi di investimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative, stabilendo, al quarto comma, la non punibilità delle condotte qualora il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinate alla mera “utilizzazione o al godimento personale”.
Originariamente era penalmente rilevante solo l’attività di riciclaggio posta in essere da un soggetto diverso dall’autore della condotta illecita, mentre non era prevista la punibilità di chi occultava direttamente i proventi del delitto che egli stesso aveva commesso. Tale scelta del legislatore era motivata dalla non punibilità del c.d. post factum, al fine di evitare una duplicazione punitiva, contrastante col principio del ne bis in idem. Soltanto nel 2014, allo scopo di rafforzare il contrasto alla c.d. criminalità da profitto, si è scelto di punire con l’art. 648-ter1 c.p., seppur in maniera minore nei confronti del reato di riciclaggio, la condotta di chi, avendo commesso il reato principale, ne occulta i proventi reinvestendoli in attività economiche o speculative.
La maggiore contraddizione del reato in parola consiste nel fatto che le pene previste dall’art. 648-ter 1 c.p. sono, generalmente, superiori a quelle comminate per il reato presupposto. Ad esempio il reato di truffa è punito con la pena da sei mesi a tre anni di reclusione, ma se il soggetto che lo ha commesso ne occulta i proventi, rischia fino a quattro anni di reclusione.
Il reato di autoriciclaggio, previsto dall’art. 648-ter1 c.p., presenta similitudini e differenze con il reato di riciclaggio. I beni giuridici protetti sono i medesimi del reato di riciclaggio, così come l’elemento oggettivo. Ciò che distingue principalmente il reato di riciclaggio da quello di autoriciclaggio è, invece, l’autore della condotta. Nell’autoriciclaggio, difatti, a differenza del riciclaggio, si confondono nella stessa persona l’autore del delitto principale con colui che rinveste economicamente la somma o il bene, occultandoli. Perché si configuri la condotta tipica di autoriciclaggio i beni o altre utilità devono essere impiegati in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, pertanto il reato non sussiste nel caso in cui i proventi del reato presupposto vengano utilizzati per acquistare un bene di godimento personale. È, quindi, prevista una clausola di non punibilità, qualora le somme siano state utilizzate per godimento personale, quali l’acquisto di un immobile adibito ad abitazione o un’automobile per uso personale.
Nelll’ipotesi di condanna per autoriciclaggio o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il c.d. patteggiamento, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca diretta, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato (confisca per equivalente). Il pubblico ministero può compiere, nel termine e ai fini di cui all’articolo 430 del codice di procedura penale, ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca.
Per la Cassazione (sentenza 10364/2020) dal reato di autoriciclaggio vanno “espunte le condotte prive di capacità di intralcio perché prive di capacità dissimulatoria”, tuttavia (sentenza n. 11325/2023) “integra la condotta punita dall’art. 648-ter1 cod. pen. il reinvestimento nel gioco d’azzardo e nelle scommesse dei proventi illeciti”. La Cassazione, con ordinanza n. 45397/2021 ha anche precisato che sussiste il reato di autoriciclaggio anche nel caso in cui l’operazione di trasferimento del profitto di un precedente illecito sia tracciabile, tuttavia “l’ostacolo all’identificazione della provenienza illecita del denaro, seppure non definitivo, deve essere concreto”. Secondo la Suprema Corte (sentenza n. 16059/2019) la capacità dissimulatoria deve “essere individuata in condotte non ricollegabili al puro e semplice trasferimento di somme ed altresì come il fatto di autoriciclaggio abbia natura autonoma e successiva rispetto alla consumazione del delitto presupposto così che le due fattispecie non possano essere ravvisate a fronte di un’unica contestuale azione”.
Per la Cassazione (sentenza n. 44733/2022), il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto. Diversamente si finirebbe per violare il principio secondo il quale si può confiscare solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale da ogni reato commesso, ma non si può duplicare la somma confiscabile perché si sanzionerebbe il soggetto in assenza di un vantaggio economico derivante dal reato di autoriciclaggio, con una violazione divieto di ne bis in idem.
La recente sentenza della Cassazione Penale n. 47 del 2025 ha confermato la responsabilità amministrativa di una società per il reato di autoriciclaggio, stabilendo che un ente risulta responsabile di tale reato ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 se trae un interesse o un vantaggio dalla commissione del reato presupposto.
Con riguardo al rapporto lavorativo la Suprema Corte, con sentenza n. 25979 del 2018 ha statuito che il pagamento da parte del datore di lavoro di retribuzioni inferiori a quanto riportato in busta paga configura il reato presupposto di estorsione e anche quello di autoriciclaggio ai sensi dell’art. 648-ter1 c.p., poiché in tal modo è evidente il reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche o imprenditoriali.
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