La direttiva UE 2021/514, nota come “DAC7”, ha introdotto nuovi obblighi di comunicazione per i gestori di…
Gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria effettuati con lo strumento dello spesometro

I reati tributari riguardano tutte le violazioni di rilevanza penale generalmente commesse dal contribuente o dall’intermediario, che hanno ad oggetto le imposte sul reddito o sul valore aggiunto. La violazione di una disposizione di legge tributaria comporta il verificarsi di un illecito amministrativo, che soltanto negli specifici casi determinati dalla legge penale assume la qualificazione di delitto. La principale normativa che disciplina i reati tributari è il c.d. Testo Unico delle disposizioni in materia di imposte, decreto legislativo n. 74 del 2000 e successive modifiche. Fra i più rilevanti reati tributari abbiamo, oltre alle dichiarazioni fraudolente (articoli 2 e 3 del d.lgs. n. 74 del 2000), la dichiarazione infedele (art. 4) e l’omessa dichiarazione (art. 5). L’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è sanzionata dall’art. 8, mentre l’art. 10 punisce l’occultamento o distruzione di documenti contabili. Gli articoli 10-bis e ter puniscono rispettivamente l’omesso versamento delle ritenute e dell’IVA, infine con l’art. 10-quater viene punita l’indebita compensazione.
Quando l’illecito assume proporzioni di rilievo penalistico, viene generalmente trasmessa dall’Agenzia delle Entrate alla Procura competente un’informativa, con l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e la conseguente apertura del relativo fascicolo. L’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria può essere effettuato in varie forme e con differenti strumenti di controllo e di indagine. La distinzione più importante con riguardo ai sistemi di accertamento è quella fra accertamenti analitici e sintetici, entrambi previsti espressamente dalla legge con D.P.R. n. 600 del 1973. Tali differenti metodi perseguono l’obiettivo comune di ricostruire il reddito del contribuente o le sue operazioni finanziarie stabilendo se le imposte sono state versate nella misura corretta, ovvero se si sia verificata un’evasione fiscale. Tuttavia, mentre l’accertamento analitico tende a realizzare una ricostruzione dettagliata delle entrate ed uscite del contribuente, quello sintetico si avvale di indici contributivi che andranno solo sommariamente a rivelare contraddizioni ed incongruenze nei bilanci, fra spese, ricavi e quanto effettivamente dichiarato, tali da far presupporre un’evasione del fisco.
In ogni caso il contribuente ha la possibilità di presentarsi all’amministrazione finanziaria per provare, in contraddittorio e tramite apporto documentale, che le spese sono state finanziate con altri mezzi o con redditi non imponibili, oppure che vi sia stato un errore nella contabilizzazione delle fatture. L’accertamento sintetico è legittimo qualora il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. Per effetto della recente aggiunta dell’art. 6-bis alla legge n. 212 del 2000, dal 30 aprile 2024 qualora l’avviso di accertamento non sia preceduto da un invito al contraddittorio del contribuente, l’intero procedimento diviene annullabile per difetto di contraddittorio.
Fra gli strumenti di accertamento sintetico, uno dei più criticati e controversi è certamente stato, e continua ad essere, il c.d. spesometro. Nonostante dal 2019 non sia più utilizzato come strumento di accertamento poiché sostituito dalla fatturazione elettronica, l’esito di molti procedimenti penali ancora in corso dipenderà da controlli effettuati tramite esso. Difatti lo spesometro, tecnicamente definito “obbligo di comunicazione delle fatture emesse e ricevute”, introdotto nel 2010 con decreto legge n. 78 ed in vigore per soli nove anni, può essere ad oggi ancora lo strumento alla base di una condanna penale, per reati commessi prima dell’obbligo della fatturazione elettronica. Contribuenti esonerati all’obbligo dello spesometro sono quelli minimi e i forfettari, nonché sono esentate le operazioni di modesta entità certificate da scontrino o ricevuta fiscale.
Lo spesometro è un sistema di accertamento reddituale automatizzato basato su dati di fatture attive e passive trasmessi dai fornitori o dai clienti (c.d. accertamento spesometrico), da cui può emergere una discrepanza con la dichiarazione effettuata dal contribuente, svelando l’omissione di ricavi o detrazione di costi non spettanti. Nello specifico consiste in uno strumento tributario di verifica fondato su presunzioni e controllo incrociato dei dati, volto a individuare anomalie fra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risulta dalle spese o fatture comunicate da altri soggetti, siano essi clienti o fornitori. Se dai dati raccolti dal fisco emergono delle discrepanze l’amministrazione finanziaria può emettere un avviso di accertamento per recuperare le imposte presumibilmente evase. L’accertamento sintetico può essere deduttivo o induttivo, con la ricostruzione dei redditi in base a presunzioni.
Nelle ipotesi in cui con l’utilizzo dello strumento dello spesometro integrato vengano rilevate evasioni dell’imposta superiori alla soglia penalmente rilevante si aprirà un procedimento penale con accertamenti effettuati dalla Polizia Giudiziaria, nello specifico dalla Guardia di Finanza su delega del Pubblico Ministero incaricato. La soglia di punibilità penale per l’omessa dichiarazione, è di un’evasione dell’imposta sui redditi o sul valore aggiunto fissata nella somma di almeno 50.000 euro, per il mancato versamento dell’IVA o delle ritenute corrisponde a minimo 250.000 euro, mentre per la dichiarazione infedele a minimo 100.000 euro. Al di sopra di tali soglie, l’evasione fiscale si configura, pertanto, come un delitto, con sanzioni penali stabilite dal d.lgs. n. 74 del 2000, che negli anni hanno subìto inasprimenti. Ad esempio, nell’ipotesi prevista ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 dell’omessa dichiarazione al fine dell’evasione per cifre maggiori di 50.000 euro, le pene sono state con D.L. n. 124 del 2019 aumentate dalla reclusione compresa fra un anno e sei mesi e quattro anni, ad una cornice edittale compresa fra due e cinque anni.
Lo spesometro, quale metodo di determinazione sintetica e deduttiva del reddito, alla pari degli studi di settore costituisce elemento indiziario, pertanto dovrebbe essere supportato da un accertamento analitico per la prosecuzione dell’azione penale. A tal fine la Polizia Giudiziaria dovrebbe provvedere all’acquisizione della documentazione delle effettive operazioni del contribuente, in riscontro delle operazioni rilevate dallo spesometro, prima della formalizzazione dell’imputazione. La necessità di controlli successivi all’accertamento da spesometro, soprattutto quale prova del superamento della soglia di rilevanza penale, non viene messa in dubbio dalla sentenza n. 553 del 9 gennaio 2023 della Suprema Corte di Cassazione. La Corte, difatti, pur ritenendo infondato il ricorso di un contribuente che aveva lamentato un metodo di accertamento sintetico e deduttivo per la ricostruzione del reddito evaso, afferma che nel caso di specie gli organi accertatori abbiano compiutamente effettuato un controllo di tipo analitico dei dati tratti dallo spesometro. La Corte ribadisce, tuttavia, che il giudice penale possa legittimamente avvalersi, ai fini della prova dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti induttivi operati in sede tributaria, effettuati anche mediante studi di settore. In definitiva, sebbene i criteri stabiliti per l’accertamento sintetico del reddito imponibile non siano per il giudice penale fonti di certezza legale, essi costituiscono comunque elementi indiziari utilizzabili per una motivazione della sentenza di condanna. Con sentenza n. 9999 del 2025 la Cassazione ha, poi, ribadito che i dati dello spesometro sono oggettivi e utilizzabili per provare l’evasione, purché riscontrati con altri elementi. Pertanto i giudici possono utilizzare tali dati come base per determinare la commissione del reato, fermo restando l’obbligo di verificarne la coerenza con altre prove. Le aziende e i professionisti sottoposti ad accertamenti tributari hanno l’onere di dimostrare attivamente la correttezza delle proprie dichiarazioni, non potendo limitarsi a contestare i metodi di accertamento, poiché secondo i giudici di legittimità “la difesa non può limitarsi a contestare l’uso dello spesometro, ma deve dimostrare concretamente che i dati non corrispondono alla realtà”.
L’accertamento dello spesometro, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente a sostenere la presunzione di evasione fiscale in giudizio, se non supportato da altri riscontri, poiché considerato come una presunzione semplice, con mero valore indiziario. Qualora gli elementi acquisiti dalla Procura non fossero idonei alla formulazione di una ragionevole previsione di condanna in quanto non costituenti un quadro indiziario tale da supportare la prospettazione accusatoria, il PM avrebbe il dovere di archiviare, per l’assenza di un riscontro agli accertamenti dell’amministrazione finanziaria, che possa confermare l’esistenza di una somma evasa al di sopra della soglia di perseguibilità penale.
Latest posts by Alberto Biancardo (see all)
- La prescrizione dei reati - 23 Ottobre 2025
- Gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria effettuati con lo strumento dello spesometro - 2 Ottobre 2025
- I reati tributari - 2 Ottobre 2025
